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  • Marta Cristofanini

Petruska | Incontri ravvicinati del terzo tipo


In greco antico verità si dice aletheia: etimologicamente significa “togliere il velo”.

Da una superficie offuscata e tesissima sul proscenio, emergono come da una nebbia compatta intuibili forme viventi. Ombre ovattate di pesci, che emergono sinuosamente dal fondo di un acquario immenso, profondo; alieni che avanzano regali alla luce dell'alba di mondi sommersi; figure sfumate, tentacolari, che solo il contatto diretto con questa membrana placentare – fisica separazione tra il nostro e il loro mondo – rivela come umane: l'ombra d'inchiostro di una mano, di un braccio, di un ginocchio. Impresse lì. Semi-permanenti. Per poi ritrarsi, precipitare, dissolversi in quell'amalgama originario abitato da sacre, cangianti creature.

Questo è il primo, sorprendente atto introduttivo del Petruska di Virgilio Sieni, sulla musica per orchestra d'archi composta da Giacinto Scelsi, Chukrum. Ideale sipario d'apertura su questo incontro ravvicinato con le magnifiche, inquietanti marionette del balletto musicato da Igor Stravinskij.

Il velo che prima mascherava la scena, ora maschera i danzatori, i cui corpi sono avvolti in impalpabili garze semi-trasparenti, con i volti bendati da calze elastiche su cui sono scarabocchiate facce di burattino. Mi viene subito da pensare alla Commedia dell'Arte che, grazie all'immobilità ghignante delle sue maschere, restituisce al corpo il ruolo da protagonista, convergendo l'attenzione sulla sua duttile mobilità. Anche il mimo Etienne Decroux operò una ricerca affine riguardante la sottrazione del volto allo sguardo esterno per far emergere la fisicità, utilizzando un velo sottilissimo che avviluppava le teste degli attori. Espediente che sembra essere stato accolto senza riserve dal coreografo. I danzatori di Sieni raggiungono vette altissime di poesia visiva e capacità tecnica, nel riuscire a non rimanere intrappolati nello stereotipo del movimento stilizzato richiamato dal corpo meccanico, rigido schiavo di impulsi esterni. Le marionette sono anche i marionettisti, riprendendo così in mano - come nella storia di Petruska - la propria autodeterminazione, guidata da un'emotività potentemente umana benché rinchiusa in un corpo ripieno di segatura. I danzatori hanno la flessuosità insensibile delle bambole ed una tragicità carnale che la cupa fissità espressionista dei volti dipinti non fa che esasperare. Come in apnea si seguono questi corpi silenziosi, subacquei, di cui non sento respiro né scricchiolio di giunture. Questo corpo-altro, questo corpo alieno è pieno di tormento interiore; eppure il divino, celestiale strumento loro dato risulta inadatto per la piena espressione dei turbamenti. Questa la drammaticità così ben solfeggiata sul palco del Teatro Modena, dove i neri tormenti dell’animo tentano di sillabarsi in corpi che non sentono dolore, non conoscono piacere, ma li indovinano.

Le entrate e uscite attraverso i veli trasparenti, che come leggere cortine delimitano il perimetro scenico, sono sempre a vista, così come a vista sono le nudità dei corpi danzanti nel loro incessante tentativo di superarsi, di scavalcarsi, di trovare una voce, un corpo contro cui scontrarsi. La conclusione è un finire in levare dove le marionette avanzano a coppie l'una verso l'altra, ciascuna schermata da un proprio velo trasparente, tentando di stabilire tra loro quel lento, sensuale contatto avuto con noi durante la prima scena, attraverso la membrana e la sua superficie di nebbia. Quasi sul punto di sfiorarsi, si ritirano, s'allontanano all'improvviso e l'unico - immenso - movimento è quello dei veli sospesi in cui la loro assenza/verità si condensa. E si svela.

Elementi di pregio: La solida costruzione evanescente dell’opera dà un rigore stilistico sorprendente ed azzeccato. I danzatori superbi nelle loro movenze.

Limiti: Troppo lunga la pausa tra l’introduttivo Chukrum e Petruska che rischia di raffreddare l’intensa atmosfera appena creata.

Visto al Teatro Modena il 23/11/2018

coreografia e spazio Virgilio Sieni musica Igor Stravinskij / Giacinto Scelsi interpreti Jari Boldrini, Ramona Caia, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Giulia Mureddu, Andrea Palumbo costumi Elena Bianchini luci Mattia Bagnoli allestimento Giovanni Macis produzione Compagnia Virgilio Sieni in collaborazione con il Teatro Comunale di Bologna

oca, oche, critica teatrale
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