top of page
  • Massimo Milella

Rip it up and start again | Un'idea bellissima, sul foglio di sala


Ultima puntata dell'Oca per il Festival delle Colline Torinesi, nella platea di Lavanderia a Vapore, a Collegno, per vedere (i catalani El Conde de Torrefiel di Tanya Beleyer e Pablo Gisbert), i Motus di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò in collaborazione con gli allievi de La Manufacture – Haute école des arts de la scène, prestigiosa scuola d'arte scenica nella Svizzera francofona.

Motus in Rip it up and start again

II - Rip it up and start again di Motus

Tutto, nelle premesse di Rip it up and Start again, è accattivante.

La cornice della location, la Lavanderia a Vapore, isola di capannoni in un centro fuori da Torino; una trama coinvolgente sulla riattualizzazione delle questioni centrali della scena musicale post punk - fine ‘70 metà ‘80 -, delle sue e dei suoi protagoniste e protagonisti; la freschezza di un folto cast di giovani di una scuola d’arte teatrale di Losanna che ancora non visto, mentre il pubblico è nel foyer, sembra esplodere di energia pronta da innescare, con urli di automotivazione e di festa; un set interessante, con una console a due piatti per i vinili, una scena frontale ma a pianta circolare, come una pista da ballo e, sullo sfondo, dietro una tenda a striscioline le sagome delle attrici e degli attori che ballano e accolgono così il pubblico, poco prima che inizi lo spettacolo.

Le forze in campo, insomma, sono promettenti.

Cosa succede, poi? Che tutto prende la sua forma e inizia a morire: una playlist infinita di brani - mai banale, va detto, grandi classici e sorprendenti scoperte - sui quali, in modalità sketch, i ragazzi si alternano in monologhi, canzoni, danze, riflessioni, il tutto basato su un tentativo di identificazione, ma sarebbe meglio dire su un’indagine personale che vorrebbe porre all’oggi le domande di Ian Curtis, Siouxsie Sioux, Ari Up e le Slits, Scritti Politti, Nick Cave, Echo & The Bunnymen, in bilico tra rivendicazione di uno spazio indipendente, autonomo, per sé stessi e per le proprie scelte, in totale messa in discussione dell’ordine costituito.

Si sente l’odore pesante di una libertà sofferta, nei testi che attraversano le biografie dei grandi personaggi dell’epoca, si scoprono i primi vagiti della questione legata al gender, arrivano storie toccanti di female bands che squarciano la realtà patriarcale e impongono la loro individualità, a prescindere da tutto, anche a costo della propria vita.

Eppure, nonostante il tema interessante, avviene una singolare evaporazione dell’aspettativa creata. La modalità con cui scompare il fuoco di Rip it up and start again è l’ingresso elefantiaco e ingombrante della “struttura” dello spettacolo, uno scheletro freddo e calcolato che prevede uno schema che la regia non mette mai in discussione, per tutte le due ore di spettacolo: canzone, pezzo dei ragazzi ispirato alla vita della cantante o del cantante proiettato però nella propria quotidianità di ventenne del terzo millennio, chiusura che confluisce nel frammento successivo, come due dischi che si danno il cambio sui piatti.

Ma dopo un po’ il prevedibile logora l’attenzione del pubblico, lo paralizza sulla sediolina, inizia a ipnotizzarlo fino a renderlo passivo e succube delle infinite storie che vengono raccontate. Nessun effetto riesce a risollevare la situazione, né il formato videoclip con la telecamera in scena che proietta dal vivo primi piani, interviste, ricostruzioni sceniche nelle quali gli attori e le attrici fingono di interpretare i personaggi di cui stanno parlando; nè il cosiddetto “karaoke” con il quale gli artisti si esibiscono, sulle note del disco originale. I sopratitoli, peraltro non sempre puntuali, costituiscono, di fatto l’elemento più interessante della vicenda per chi non conosce perfettamente il francese, la lingua principale in cui si esprimono i ragazzi in scena, perché almeno si può tentare di ricostruire l’informatissima e verbosa drammaturgia, piena di aneddoti e frasi pensose, su cui riflettere.

L’accumulo delle medesime, però, finisce con il rendere davvero un compito arduo continuare a soffermarsi su tutte le parole che rimbalzano. E si ha la sensazione che ogni attrice e attore richieda la stessa energia al pubblico, la stessa temperatura, alta, la stessa portata importante, seriosa dei propri concetti esposti. Una rabbia tutta uguale, molto conformista.

Così, nelle rarissime occasioni in cui i ragazzi in scena tentano di rompere l’equilibrio della quarta parete, ormai diventata un muro, trovano scarsa partecipazione nel pubblico e, bisogna ammetterlo, le proposte sceniche sono discutibili: un’attrice chiede alla platea se la trova “bella” per poi partire in un lungo monologo sull’apparenza di questa condizione; un attore chiede - improvvisamente - a qualcuno del pubblico di baciarlo, dopo un lungo silenzio più annoiato che imbarazzato, quando l’attore con sarcasmo commenta “mamma mia peggio di Milano!”, una ragazza si offre volontaria, salva l’orgoglio torinese e lui ringrazia: tutti contenti - ma perché?; un’altra attrice chiede ammiccante a uno spettatore in prima fila di toccarle il sedere, poi si infuria inscenando una sorta di scena di gelosia rispetto alla moglie dello sconosciuto e infine tira fuori un tampax dalla vagina per poi mostrarglielo.

Discutibili, dicevamo, non tanto nel contenuto, ma nella scarsissima capacità di costruire il “proibito”, di creare uno squarcio davvero conturbante, di mettere le basi per una sfida vera, frontale: così invece sembrano momenti gratuiti in cui risvegliare la platea dalla routine della struttura drammaturgica.

E così si scorre fino alla fine, in un’assenza di regia che sembra molto più attenta a creare un esito di un laboratorio, un saggio di fine anno, che non uno spettacolo, finendo così, in modo malinconico, per spegnere il fuoco di un’eredità post-punk che resta ancora poco svelata e di grande fascino per una rilettura dell’oggi.

Una bellissima idea, rimasta sul foglio di sala.

Per i Motus, e quindi per noi, un’occasione persa.

Rip it up and Start again

regia e drammaturgia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò

assistente alla regia Jonas Lambelet

suono Enrico Casagrande, Ian Lecoultre e Micael Vuataz

video Simona Gallo

luci Simona Gallo e Daniela Nicolò

con con gli allievi de La Manufacture – Haute école des arts de la scène Coline Bardin, Davide Brancato, Estelle Bridet, Arianna Camilli, Azelyne Cartigny, Guillaume Ceppi, Anastasia Fraysse, Aurélien Gschwind, Mathilde Invernon, Agathe Lecomte, Antonin Noel, Martin Reinartz, Elsa Thebault, Gwenaelle Vaudin, Adèle Viéville

produzione Motus e La Manufacture – Haute école des arts de la scène

oca, oche, critica teatrale
bottom of page