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  • Massimo Milella

Spregelburd - Ferrini | Un incontro


Il più recente contatto che il pubblico genovese ha avuto con il teatro di Rafael Spregelburd è rappresentato dal monumentale Fine dell'Europa con cui il Teatro Nazionale aprì coraggiosamente la stagione 2017/18 – e noi c'eravamo: https://www.locacritica.com/single-post/Fine-dell-Europa.

Ed è ancora il Nazionale ad ospitare l'artista argentino, in questa occasione con una drammaturgia di grande effetto come Lucido, già nella lista dei lavori premiati all'edizione del Premio Ubu 2011. Non è stato un vero e proprio debutto di questo testo a Genova, già cinque anni fa figurava nel cartellone del Teatro della Tosse, in un adattamento diretto da Milena Costanzo e Roberto Rustioni.

Artefice di questo nuovo allestimento è Jurij Ferrini, artista cresciuto a Ovada ma fortemente legato a Genova e alla storica scuola di recitazione dello Stabile, dalla quale è partita la sua interessante parabola di attore e regista dalla vocazione artistica fortemente indipendente e insofferente a ogni limitazione della propria libertà creativa.

Quello tra l'ovadese e il bonaerense è un incontro inevitabile: la comicità inquieta e anarchica di Spregelburd è lo specchio distorto di quella feroce e implacabile di Ferrini, tipologia di talento perfettamente a proprio agio nei panni di Riccardo III come del Capitano Giovanni Bevilacqua, celebre personaggio di Gilberto Govi in Colpi di timone.

Il Lucido di Ferrini fa ridere e moltissimo. Il meccanismo comico è ineccepibile, perfetto. Una volta attivato, è una macchina inarrestabile che dissemina risate a prescindere dagli sviluppi della drammaturgia: segno che l’energia dei personaggi messi in scena è arrivata in platea in modo molto chiaro e pulito. Il pubblico, infatti, letteralmente si fida: conquistato dal divertimento e dal ritmo anomalo e accattivante dello spettacolo, rinuncia, col passare dei minuti, alla decodificazione della trama, all'intuizione delle sue possibili evoluzioni – o involuzioni.

A un certo punto, coinvolto nell'oceano di risate generate dalla sfrenata e gustosa caratterizzazione degli interpreti, mi sono reso conto, però, di aver smarrito il minimo interesse reale nei confronti di quei personaggi, li stavo "usando" per il mio personale divertimento. Iniziavano in qualche modo a risuonare in modo meno convincente, a rivelarsi finiti, almeno per me, ormai in una dimensione di stravagante – aggettivo molto usato nelle schede di presentazione di questo spettacolo – oggetto di passatempo.

Non si può nemmeno parlare di nonsense liberatorio e socialmente rivoluzionario, dell’onirismo di Bunuel o dello humour crudele di Rodrigo Garcia – due mondi che, per ragioni molto diverse, associo particolarmente a Spregelburd –. Il riso suggerito dal Lucido di Ferrini è anzi per nulla sociale, non perde il suo effetto velenoso, ma rivela un mondo in un certo senso più “piccolo”: sembra infatti puramente teatrale. Non nel senso vagamente negativo di “recitato”, ma in quello specifico di “inerente al mestiere teatrale”, dunque la freddezza esercitata da questa risata non è legata a un modo di fingere, ma al contenuto, all’obiettivo, alla destinazione finale di questo lavoro, il teatro appunto.

Si tratta di un virus liberato in una drammaturgia in cui la trama appare chiara, così come i personaggi che la abitano, e che invece produce in essa e in questi continue detonazioni anticechoviane, antibrechtiane, antigoldoniane – e potremmo andare avanti all'infinito – fino alla creazione dell'anticommedia, dell'antitragedia.

Siamo spettatori di pericolosi labirinti borgesiani che si aprono a ogni aspettativa creata.

Ad ogni indizio disseminato nelle parole dei personaggi, nascono dei "no, non è proprio così come credi" continui ripetuti davanti a delle possibilità, compaiono porte che si aprono alle nostre spalle, mentre siamo impegnati a fare pressione sulla maniglia per aprire quella davanti a noi.

A un certo punto infatti mi rendo conto che rido – ridiamo? – per disperazione, perché ho la certezza che niente sia reale, che forse, chissà, da Aristofane a oggi le commedie non sono state scritte per il motivo giusto, che siano finte, come le tragedie, come tutto quello che è scritto per essere intuito e riconosciuto da chi guarda.

La grandezza di Spregelburd, l'avevamo visto anche in Fine dell'Europa, è politica, la risposta di Ferrini è scenica, circoscritta all'artigianato teatrale, a suo modo utopica: una sorta di commedia degli equivoci in cui l'equivoco principale è legato al fatto che non c'è nessuna commedia.

Ed è per questo, mi sembra, che il finale sia deludente, improvvisamente e inaspettatamente deludente, dopo un'ora di pallone aerostatico dal quale abbiamo creduto di vedere il mondo da molti punti di vista differenti. Atterriamo in una scena che ci sembra spoglia, buia, vuota, come in certi momenti di Eduardo. Rebecca Rossetti, l'attrice che interpreta Tetè, fa finta di recitare qualcosa che non riconosciamo, che non esisteva prima, ci chiede probabilmente di credere che tutto quello che abbiamo visto sia stato frutto della sua testa, del suo sogno o incubo. Ci chiede di dire, senza appigliarci a nulla di solido, "questo sì, è vero".

Ma non lo posso fare, nessuno dei miei vicini di sala può.

Possiamo solo dire che l'attore Jurij Ferrini e l'attrice Rebecca Rossetti recitano la loro parte, alla fine dello spettacolo. Ma non possiamo essere completamente certi neppure di che parti siano perché in fondo la trama non ha così tanta importanza. Non ne ha mai avuta: perché dovrebbe commuoverci o emozionarci adesso?

Ciò che conta è che abbiamo riso e che forse non sappiamo perché.

Nel testo di Spregelburd il perché è un senso strisciante di realtà che ci costruisce abissi sotto i nostri sensi abituali; nel lavoro di Ferrini esiste un gioco, un massacrante gioco teatrale, una scatola chiusa in cui non la realtà, ma il "comico" viene fatto a piccoli pezzi davanti a un pubblico complice.

Esco allora con un'idea, piccola e forse insoddisfacente: sono convinto che parecchie delle detonazioni di questo testo siano rimaste inesplose nel sogno lucido di Ferrini.

Per sapere io stesso di quali detonazioni mancanti stia parlando, sarà necessario in futuro assistere ad altri Lucido, di artisti differenti. Funziona così per molti classici e Lucido, una profezia è gratis, lo sarà, al pari del Calapranzi o di Aspettando Godot.

Nel frattempo, resto col ricordo nitido di una serata costellata da molte, stravaganti, disperate risate.

Elementi di pregio: l'interpretazione di Federico Palumeri, per lunghi tratti fondamentale per la tenuta di tutto il gruppo; si ride moltissimo.

Limiti: la forza corrosiva del testo di Spregelburd non è forse indagata in tutte le sue potenzialità.

TEATRO NAZIONALE DI GENOVA, PROGETTO U.R.T. , TPE TEATRO PIEMONTE EUROPA

Versione italiana

Valentina Cattaneo e Roberto Rustioni

Regia

Jurij Ferrini

Interpreti

Jurij Ferrini, Agnese Mercati, Rebecca Rossetti, Federico Palumeri

Luci e suono

Gian Andrea Francescutti

oca, oche, critica teatrale
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