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Redazione

Una specie di Alaska | Risvegli

Recensione a cura di Marco Gandolfi


Nell'uso simbolico della lingua italiana, la parola "risveglio", insieme alla sua connotazione più estesa "rinascita", indica usualmente il passaggio da uno stato negativo, di privazione, a uno positivo, di realizzazione. Si passa dalla notte al giorno, dal sonno alla veglia - o addirittura dalla morte alla vita, in senso figurato. Una specie di Alaska, testo di Harold Pinter ispirato da una storia contenuta in Risvegli di Oliver Sacks, rende problematica questa associazione di progresso tra ciò che era prima e quanto viene dopo il risveglio: il dubbio inespresso è se si tratti di una uscita o di una entrata nell’incubo, che semplicemente coincide con la consapevolezza di aver dormito in precedenza.


Valerio Binasco sceglie di riportare in scena questo pezzo per la riapertura del Teatro Stabile di Torino post Covid-19: si tratta certamente di un risveglio, dopo mesi di forzata inattività, e il senso di spaesamento e incertezza del mondo teatrale è in una certa misura paragonabile a quello della protagonista delle pièce. Debbie (Sara Bertelà convincente) si risveglia dopo 29 anni di letargia in un mondo trasformato, donna di mezza età invece di adolescente, in una famiglia profondamente mutata dal tempo. La messinscena, ambientata nella spoglia camera di un ospedale senza nome, si concentra unicamente sulle ore immediatamente successive al risveglio e lo svelamento, per gradi, della verità.


La presa di coscienza ha un moto spiraliforme: attraverso le domande e risposte al medico (Nicola Pannelli) e alla sorella Pauline (Orietta Notari efficace), la protagonista intuisce e vede via via definirsi la nuova realtà. Lo fa con i moti di una adolescente ancora un po' bambina nel corpo di una quarantenne; alterna incredulità a rifiuto, calma e consapevolezza a moti di ribellione. Il suo sonno è stato una specie di Alaska: un'esperienza comunque non priva di avvenimenti mentali che rievoca nella sconnessione onirica di un fiume carsico di immagini. Possono sembrare sogni queste esperienze remote di una coscienza ibernata, ma lo sono solo in parte: il legame flebile con la realtà non è mai completamente reciso, con Debbie che prova a "farsi sentire, urlando" durante il suo sonno, ma là fuori nessuno pare accorgersene.

Finché un giorno il suo medico di sempre non le somministra il farmaco che si rivelerà decisivo. La resa del personaggio del dottore da parte di Nicola Pannelli può sembra un po' troppo rigida e apatica, ci si aspetterebbe un coinvolgimento emotivo più forte, dato anche il legame di parentela (è il cognato della protagonista). Su questo sfondo spicca invece la dedizione della sorella Pauline, probabilmente l'unica a non avere mai perso la speranza. Ma questo confronto di reazioni emotive si amalgama alla dialettica sulla natura positiva o meno di questo risveglio.


Se l'idea del risveglio è la dominante concettuale, la mascherina chirurgica è quella fisica. Da indossare appena varcata la soglia di ingresso e mantenere fino al proprio posto per lo spettatore; vista e usata in scena nei momenti di prossimità tra gli attori. Considerato l'ambiente ospedaliero la scelta è felice: si resta inchiodati nel dubbio se questo uso sia riferibile alla descrizione credibile dell'ambiente - come lo può essere il camice indossato dal dottore - o una sottolineatura del contesto odierno. Probabilmente Binasco ha voluto cogliere entrambi gli aspetti e attraverso la scena restituirci alla nostra realtà come Debbie è restituita alla sua.


Nel bellissimo epilogo la protagonista, stremata dalle rivelazioni, si butta sotto le coperte del suo letto e fa per dormire; ma dopo un istante, illuminata da una luce fioca, prima del buio finale, la sua testa riemerge e fissa la platea. Nei suoi occhi la comprensione: il tempo si ferma e il risveglio è compiuto. Vale lo stesso per gli spettatori coinvolti nella rinascita del teatro nell'epoca del distanziamento sociale: ora siamo qui e sappiamo cosa è accaduto nel frattempo. Un senso di chiusura.


Elementi di pregio: felice messinscena di un testo particolarmente adatto per la riapertura dei teatri.

Limiti: eccessivo protagonismo della musica in scena.



Visto al Teatro Carignano Torino mercoledì 15 luglio 2020


di Harold Pinter

con Sara Bertelà, Orietta Notari, Nicola Pannelli

regia Valerio Binasco

scene e luci Jacopo Valsania

costumi Sandra Cardini

TPE - Teatro Piemonte Europa

Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale


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