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  • Marco Gandolfi

Zombi, coronavirus e teatro | Una resistenza


Il teatro è la forma di espressione artistica colpita più duramente dalla pandemia da SARS-CoV-2 perché è la forma che più di ogni altra dipende dalla socialità; anzi si potrebbe dire che il teatro è socialità, non può esistere senza, e addirittura la stessa socialità non può esistere senza teatro, direbbe qualcuno senza sbagliare di troppo. La strategia di social distancing messa in atto per contrastare la diffusione del virus ha come vittima prima la socialità appunto, e quindi di riflesso il teatro.

Tra le tante forme di resistenza che il mondo del teatro italiano ha sperimentato nei primi giorni della pandemia, c'è quella del trasferimento nel mondo social di una parte - seppur simbolica, o meglio potremmo definire “di testimonianza” - della propria attività. La forma più gettonata è stata la trasmissione in streaming di spettacoli, interviste in diretta Facebook, apertura di archivi per condividere il materiale più vario. Una delle iniziative che ho trovato più interessanti è #INDIFFERITA (con la specificazione "IL TEATRO IN VIDEO È UNA CAGATA", sic.) curata dalla coppia Frosini/Timpano: la loro programmazione settimanale propone giornalmente uno spettacolo del nostro passato più o meno recente.

La frase di chiarimento - tutta in maiusolo - che Frosini/Timpano aggiungono alla loro iniziativa è un modo spiccio per ribadire il concetto che la socialità non si può esperire in altro modo che vivendola in presenza; non esiste in video, non esiste nelle sue forme virtuali che ne sono solo un surrogato.

L'ironia che questa iniziativa - così come moltissime altre - nasca e si esaurisca sui social media è semplicemente apparente: Facebook, Instagram e compagnia sono nella migliore delle ipotesi solo un’estensione della socialità, una sorta di moltiplicatore della sua velocità o di compressore delle sue distanze fisiche; ma non ne possono prescindere totalmente. E quanto più se ne allontanano tanto più si trasformano in pallido surrogato. Ma in tempi in cui la socialità è per cause di forza maggiore messa in quarantena diventano il veicolo di resistenza della sua autenticità, una forma di preservazione.

Sabato 14 marzo 2020 il palinsesto di #INDIFFERITA prevedeva la messa “in onda” di Zombitudine degli stessi Frosini/Timpano. Nato nel 2013, lo spettacolo utilizza la mitologia degli zombie per raccontare una storia di assedio all'interno di un teatro: attori e pubblico sono sostanzialmente in una quarantena indefinita, in attesa di un imminente attacco da parte dei non morti.

L’universo mitologico degli zombie, superbamente definito e canonizzato dai capolavori cinematografici di George A. Romero, è stato estensivamente utilizzato in forma metaforica per descrivere l'alienazione massificata del capitalismo nelle sue varie fasi, compresa quella iper-digitalizzata attuale. Può anche raccontare il senso di assedio che il mondo sta vivendo durante la pandemia. Anzi nella declinazione di Frosini/Timpano, in cui l'assedio si svolge in un teatro, abbiamo una curiosa premonizione di quello che sta accadendo in questi giorni. Resistenti nella fortezza virtuale, assediati, stiamo disperatamente cercando una forma di sopravvivenza del nostro stare assieme - quando allo stesso tempo, per la nostra preservazione fisica, dobbiamo stare lontani.

Questa dicotomia inconciliabile - vicinanza e lontananza - è attraversata dalla dimensione temporale: stare lontani ora, per tornare vicini poi. Frosini/Timpano in Zombitudine raccontano questa attesa.

Il teatro risorgerà perché dove c'è società umana c'è teatro. E dove c'è uomo c'è società. La prima pandemia del mondo iper-globalizzato ha semplicemente ribadito questa realtà.

Nel 1949 William Faulkner concluse in questo modo il suo discorso di accettazione del Premio Nobel:

Mi rifiuto di accettare la fine dell'uomo. [...] Mi rifiuto di accettarlo. Credo che l'uomo non si limiterà a sopportare: prevarrà. È immortale, non perché solo tra le creature ha una voce inesauribile, ma perché ha un'anima, uno spirito capace di compassione, di sacrificio e di resistenza. Il dovere del poeta, dello scrittore, è quello di scrivere di queste cose. È suo privilegio aiutare l'uomo a resistere sollevando il suo cuore, ricordandogli il coraggio e l'onore e la speranza e l'orgoglio e la compassione e la pietà e il sacrificio che sono stati la gloria del suo passato. La voce del poeta non deve essere solo la registrazione dell'uomo, ma può essere uno degli oggetti di scena, i pilastri per aiutarlo a resistere e a prevalere.

I decline to accept the end of man. [...] I refuse to accept this. I believe that man will not merely endure: he will prevail. He is immortal, not because he alone among creatures has an inexhaustible voice, but because he has a soul, a spirit capable of compassion and sacrifice and endurance. The poet’s, the writer’s, duty is to write about these things. It is his privilege to help man endure by lifting his heart, by reminding him of the courage and honor and hope and pride and compassion and pity and sacrifice which have been the glory of his past. The poet’s voice need not merely be the record of man, it can be one of the props, the pillars to help him endure and prevail.

La stessa voce del poeta è quella del teatro. Negli assedi, metaforici o reali che siano, il teatro è un pilastro per la resistenza e il prevalere dell’umanità.

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oca, oche, critica teatrale
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