Dal 15 giugno al 2 agosto 2022, il Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti di Parma ha tenuto compagnia a un pubblico indistinto di adulti e bambini, distraendoli dai giorni più caldi dell’anno con una varia offerta culturale: dai più consueti spettacoli in sala si è approdati a quelli itineranti, all’interno della verdeggiante cornice del Parco Ducale; teatro di narrazione si è dato il cambio con quello di figura; alternato a concerti di musica popolare africana – grazie al contributo dell’Ahymé Festival e dell’associazione Colori d’Africa di Parma. Nell'Arena del Teatro al Parco si è allestito anche un vero e proprio circo e sono state inaugurate installazioni.
Insomma, le occasioni sono state molteplici e delle più svariate nature, ma come è noto, il tempo è tiranno e ha costretto L’Oca a poche ma gratificanti scelte che Claudia Burzoni e Francesca Picci cercheranno di raccontarvi nel corso di questo articolo.
Dickinson’s Walk | «Si può conoscere il mondo intero senza muoversi da casa»
(visto il 15 giugno 2022)
Tra gli alberi, attraversando siepi e udendo il canto degli uccelli, le poesie di Emily Dickinson prendono vita, raggiungendo finalmente lo scopo per il quale sono state concepite. Sì, perché la poesia di Dickinson nasce dalla dimensione privata di una stanza, ma nella tensione immaginifica di essere tra i boschi, in mare o nel deserto. È un’idea molto distante dalla realtà che viviamo, in cui basta prenotare un volo per ritrovarsi dall’altra parte del mondo. In pieno Ottocento erano in pochi a poter permettersi di viaggiare per diletto, soprattutto se di sesso femminile. Dickinson si salva così: viaggiando con la mente e riuscendo a conoscere «il mondo intero senza muoversi da casa».
L’attrice Roberta Bosetti e il regista Renato Cuocolo di Iraa Theatre offrono ai loro spettatori una passeggiata audio-guidata tra i sentieri del Parco Ducale di Parma, mentre in cuffia si è sintonizzati sulle poesie e sulle lettere di Emily Dickinson, recitate dal vivo da Bosetti. In un attimo, si viene catapultati lontano dal tempo presente, chi girovaga per il parco si domanda cosa stia sperimentando quel gruppo bizzarro che si aggira in silenzio lungo lo stagno. I nostri piedi calpestano il selciato, ma la nostra anima è altrove, cullata dalla voce suadente dell’attrice e nutrita dalle parole di Dickinson. Non è necessario essere amanti o addirittura esperti di poesia per comprendere che si tratti di un’esperienza unica e totalizzante, quasi che la poetessa vissuta duecento anni fa fosse tornata in vita per accompagnarci in questo emozionante viaggio.

Può essere utile alla comprensione soffermarsi sulla compagnia ideatrice di questo progetto, denominato Progetto Walk: fin dalla sua fondazione, avvenuta a Roma nel 1978 su iniziativa dello stesso Cuocolo, Iraa Theatre è stato accolto con grande entusiasmo nel panorama internazionale. Da Melbourne – dove si era trasferita nel 1988 e dove era considerata la principale compagnia australiana d’innovazione – nel 2012 apre una sede a Vercelli, città natia di Bosetti, continuando a presentare le proprie performance principalmente in spazi non teatrali (case, hotel, strade, gallerie d’arte), come è stato per lo stesso Dickinson’s Walk, per invitare il pubblico a riconsiderare i limiti tra finzione e realtà. Nel 2013 viene alla luce The Walk, nato per essere fruito tra le vie di 24 città.
I lavori del duo Cuocolo/Bosetti, quindi, nascono per parlare in maniera diretta al pubblico, valicando il limite del palcoscenico, comunicando in maniera insolita e spiazzante con lo spettatore per indirizzarlo verso un mondo “altro”, per lo più interiore. (C.B.)
Variations | Una Proto-emozione
(visto il 28 giugno 2022)
Ho sempre pensato – a torto – che uno spettacolo di marionette potesse dirsi “ben riuscito” quando il pubblico non è in grado di ravvisare alcun intervento umano. Negli spettacoli più tradizionali, infatti, i fili sono quasi invisibili e i marionettisti agiscono nell’ombra. Questa dissimulazione viene totalmente abbandonata da Variations della compagnia Marionette Di Filippo, il cui protagonista, il piccolo e irriverente Proto, subisce un processo di creazione che lo porterà a unirsi indissolubilmente ai suoi autori. Proto viene assemblato pezzo dopo pezzo e filo dopo filo, davanti all’incanto degli spettatori per i movimenti fluidi e naturali con i quali i due marionettisti in scena – Remo Di Filippo e Rhoda Lopez – muovono la loro creatura. Credo che parte dello stupore nei confronti di un’operazione come questa risieda nel fatto di rendersi conto della fatica e della precisione necessarie a svolgere un simile lavoro: davanti a un dipinto di Caravaggio, ad esempio, il livello di perfezione è tale da farci quasi dubitare che sia un’opera dell’uomo, ma se avessimo potuto stare alle spalle del “pittore maledetto” a vedere come da un miscuglio di giallo, azzurro e viola possa nascere un volto perfetto, ne saremmo rimasti ancor più esterrefatti. Nonostante l’evidenza della mano umana, avrebbe continuato, infatti, a sembrarci di impossibile realizzazione. Per me, in questo senso, uno spettacolo tradizionale di marionette ha l’aspetto di un Caravaggio “finito”, Caravaggio in fieri è Variations.

Il punto di forza di questo spettacolo sta nella relazione che si intrattiene tra marionettisti e la marionetta stessa: i due, in un primo momento, si limitano a crearla, dopodiché, quando questa assume una forma definita e un carattere altrettanto strutturato, ci interagiscono con due modalità totalmente differenti. Mentre uno dei due, come di consueto, è impegnato nel muoverla e nel farla parlare, l’altro le si relaziona, la ascolta e talvolta l’asseconda. Gli attori si alternano nei due ruoli, così che Proto prenda voce e movenze diverse. Una solida tecnica e la passione che anima la compagnia fanno sì che si avverta una straordinaria armonia nella scena tanto che lentamente non vediamo più due attori e una marionetta, bensì un trio collaudato. Come tutte le cose uniche nel loro genere, avrei voluto non finisse più, e che continuasse a tenermi ancorata a quell’emozione di essere tornata bambina. (C.B.)
Hänsel e Gretel | Chi non ha paura della strega cattiva?
Si dice che l’essere umano sia inconsciamente attratto dal macabro: panem et circensem dicevano i romani, sintetizzando con la consueta pragmaticità latina gli istinti prevalenti della nostra specie, ovvero la fame e la sete di violenza.
Questa spinta verso il lato oscuro del nostro subconscio si manifesta molto precocemente, in età infantile, quando si è spasmodicamente attratti da racconti di fantasmi, mostri e streghe. Non per nulla, una delle favole più celebri dei fratelli Grimm è proprio Hänsel e Gretel, il cui snodo principale è costituito dalla figura della vecchia strega, una delle più inquietanti della letteratura.
L’Hänsel e Gretel di Campsirago Residenza, puntando sulla paura che intrinsecamente fa parte di questo racconto, fa in modo che gli spettatori più piccoli – e non solo – facciano appello al proprio coraggio, invitandoli a percorrere insieme le tappe salienti della storia, fino al catartico incontro con la strega della casetta di marzapane.
Si tratta di un vero e proprio viaggio esperienziale, che comincia nella sala del Teatro delle Briciole per poi addentrarsi nel “bosco” del Parco Ducale di Parma. Come con Dickinson’s walk, anche qui vengono consegnate a ciascuno delle cuffie, in modo da non perdere il contatto con gli attori, ma in Hänsel e Gretel ci è richiesto di fare alcune azioni per partecipare attivamente alla scena come lasciare sassolini bianchi lungo i sentieri del Parco per poter ritrovare la strada di casa o cercare alcuni bastoncini per accendere un fuoco durante la notte. Mi piace pensare che questo sia un modo per far sentire importante e indispensabile anche chi sentiva di avere meno coraggio all’inizio: insieme e con un po’ di astuzia, si possono affrontare tutte le “streghe” della vita.

Nonostante fossi entusiasta nel prendere parte a uno spettacolo tratto dalla fiaba che più mi ha terrorizzata durante la mia infanzia, non ho potuto fare a meno di riscontrare una certa difficoltà nell’esposizione drammaturgica: il lessico e la costruzione sintattica non facilitavano in alcun modo l’ascolto e la concentrazione, soprattutto degli spettatori più piccoli. Mi sono domandata a lungo il perché di questa scelta da parte di una compagnia che ha spesso fatto del teatro ragazzi il proprio linguaggio preminente – e che tutt'ora collabora con Teatro Invito, delleAli Teatro e ArteVOX - Teatro per l'organizzazione del festival Vimercate dei Ragazzi. Volevano forse immergere lo spettatore in un’atmosfera onirico-grottesca e confonderlo? Con un tocco di semplificazione, potrebbe divenire una performance decisamente più fruibile. (C.B.)
Teatri mobili | Il teatro che incanta e meraviglia
(visto il 22 luglio 2022)
Leggendo dei teatranti di un tempo che fu, ho sempre immaginato e sognato di carovane che attraversavano l’Europa e ne animavano le piazze con storie, musiche, finzioni (più vere del vero, ben inteso!) per poi abbandonarle, una mattina all’alba, in punta di piedi, lasciando echi di risate e meraviglia. Famiglie di teatranti girovaghi: uno dei miti che ha fondato la mia personalissima idea di teatro. E senza mai averne avuto esperienza o visione. Almeno fino a pochi giorni fa, almeno fino all’incontro con Teatri Mobili.

L’atmosfera è di quelle che avvolgono e incantano. Teatri Mobili ci aspetta, con la sua piazzetta appositamente creata disponendo perimetralmente il Camionteatro, il Teatrobus, la struttura mobile dei Teatri Emozionali. La chitarra di Facundo Moreno e il violoncello di Alexander Agranov, alle cui note presto si aggiungeranno quelle della splendida voce di Rugiada Grignani, ci accolgono e subito ci portano lontano, in Sudamerica, in Grecia, e chissà dove altro ancora, mentre noi prendiamo posto sulle piccole panche decorate, persi nell’ascolto o ancora presi dal parlare con amici magari incredibilmente incontrati qui, dopo vent’anni e più, anche loro attratti – ci piace pensare così – dal sentore dell’incanto che sarà.
Tre sono gli spettacoli proposti da Teatri Mobili: il poetico e incantevole Manoviva di Girovago e Rondella; il più grottesco Antipodi della compagnia Dromosofista; La nostra famiglia di Girovago e Rondella e Compagnia Dromosofista.
Assistiamo ai primi due spettacoli all’interno del Teatrobus, un autobus svuotato e trasformato in teatrino, con piccolo palco e gradinate per un massimo di 35 spettatori; per La nostra famiglia, ultimo spettacolo della serata e al suo debutto, rimaniamo in esterno, nella piazzetta (dove ogni particolare, dalle panche alle luci, è pensato e curato per il pubblico).
Manoviva
L’atmosfera all’interno del Teatrobus è intima e quasi misteriosa. Cosa accadrà?
La vicinanza tra attori, scena, pubblico, ci rende subito parte di una piccola comunità a cui è concesso uno sguardo privilegiato, una relazione intima con quello che avverrà sulla scena.
Un piccolo lampione, su un piccolissimo palco, qualche oggetto.
Appena entrano in scena Manon e Manin tutto acquista un senso: si tratta del loro proporzionatissimo mondo. Manon e Manin sono due mani, per la precisione la mano destra di Marco Grignani (Manon) e la mano destra di Federica Lacomba (Manin). Lo spettacolo è incantevole, delicato, emozionante, ironico, giocato con maestria e sapienza. Il piccolo circo di acrobazie, giochi col fuoco e musica, di Manon e Manin, emoziona e meraviglia, porta lontano e fa sognare. Antipodi
Uno spettacolo molto particolare, portato in scena da Rugiada Grignani, Facundo Moreno e Tommaso Grignani (compagnia Dromosofista). Tante le tecniche utilizzate e un unico filo a condurci di meraviglia in meraviglia, di illusione in illusione: la voglia degli attori in scena di scoprire, cercare, giocare, stupirsi e stupire, in un caleidoscopico succedersi di quadri e situazioni, in un continuo toccare gli estremi (antipodi, appunto) e tutto ciò che essi racchiudono, la vita, la morte, il poetico e il grottesco.
Un viaggio onirico quello che viene proposto allo spettatore, un viaggio compiuto per il solo gusto del gioco e della scoperta.
La nostra famiglia
La nostra strana famiglia, spettacolo nato dalla fusione delle compagnie Girovago e Rondella e Dromosofista, vede in scena tre generazioni di teatranti, un’intera famiglia, come già dichiarato dal titolo.
La Compagnia Dromosofista, nata dall’incontro tra Rugiada, Timoteo e Tommaso Grignani (figli di Marco Grignani e Federica Palomba) con i fratelli Facundo e Santiago Moreno, porta avanti la linea già scelta da Girovago e Rondella di un teatro di strada innovativo e poetico (dromosofia, conio greco che potrebbe tradursi in saggezza della strada), aperto alla sperimentazione e alla contaminazione di linguaggi e tecniche del teatro e della musica.
In scena anche i giovanissimi (per loro un debutto) Demetrio Maria Moreno e Basilio Moreno, figli di Rugiada e Facundo. Le tre generazioni sul palco attraversano e ripercorrono in uno l’universo teatrale delle due compagnie, con la consueta e delicata ironia.
Pedalando via dal parco ducale di Parma, in una (ancora) calda serata di fine luglio, mi sorprende un pensiero: la possibilità di un altro mondo, questo vogliamo dal teatro.
Buon viaggio, Teatri Mobili! (F.P.)
Vivo in una bolla | Dum vita est, spes est (Cicerone)
(visto l’1 agosto 2022)
Agosto. La spiaggia è punteggiata di radi e strenui ombrelloni. Il mare è mosso, memore del temporale della sera precedente. L’odore di salsedine è più incisivo e sporca pelle e capelli, ma fa così bene. Nelle orecchie, Somewhere only we know dei Keane. Intanto scrivo di Vivo in una bolla che racconta di un periodo in cui le spiagge e le città erano deserte, mentre la gente era chiusa nelle proprie case, quelle case che per quasi due anni sono diventate le nostre bolle. In queste bolle ci sentivamo sicuri, ci siamo costruiti una realtà interna e interiore, lontana da quella esterna. Eppure abbiamo sempre cercato di mantenere un contatto che fosse il più possibile umano, ma ci siamo davvero riusciti? Vivo in una bolla riporta a quei momenti che ora sembrano così lontani, quasi surreali, avendo cercato in tutti i modi di oscurarli e dimenticarli. C’è chi, vedendo questa bolla, dirà “non è possibile” e chi, invece, colpito allo stomaco, dirà “è stato possibile”.
L’artista Danila Barone, accompagnata dalle musiche di Paolo Piano, è “racchiusa” in una bolla di dodici 12 metri quadri, in cui si presume sia cresciuta e tenuta in una sorta di cattività, dalla quale cerca di scappare interagendo come può con il mondo esterno, sorridendo ai passanti o ricercando un minimo contatto. Vivo in una bolla (Teatro del piccione e DPArt), della durata di 15/20 minuti – allestito nel foyer del Teatro delle Briciole – rappresenta, in realtà, una piccola parte del progetto Nuda vita – Homo sapiens in vitro, performance di 72 ore continuative in cui l’artista rimane chiusa nella fantomatica bolla nel cuore di città di volta in volta diverse (a questo proposito, se foste interessati, transiterà da Parma a ottobre).

Anche nella sua forma ridotta, lo spettacolo è in grado di farci riflettere su altri temi scaturiti dall’esperienza pandemica come l’isolamento sociale, volontario o obbligato, o la necessità di stabilire e riprendere contatti umani. In questo senso, l’operazione di Barone fa breccia negli episodi più o meno gravi di solitudine, a cui credo ognuno di noi abbia dovuto far fronte nei due anni appena trascorsi. Nonostante la performance voglia vestirsi di incanto, il sentimento predominante è proprio quello del disincanto: la protagonista è guardata con compassione, talvolta con preoccupazione. Ci si domanda se riuscirà mai a uscire da quella bolla-prigione per poter parlare con la gente che le passa accanto, a ballare con un passante, a brindare con lui, non più sola. Sono le stesse domande e pensieri che hanno attanagliato gli animi di molti, forse anche ora: riusciremo finalmente a tornare a una normalità che possa dirsi tale o continueremo a vivere nelle nostre bolle? Riusciremo a non avere più paura? Vivo in una bolla è pensato sia per un pubblico adulto che per uno infantile, ma la differenza di visione è notevole e la magia prodotta da questa performance sta proprio in questo: con un’unica rappresentazione ha prodotto due linguaggi totalmente differenti, quello per bambini, velato di innocenza, e quello per adulti, macchiato da nevrosi.
Raccontare questa performance con vista mare, in mezzo a gente che sonnecchia, ride, legge, gioca, mi fa pensare che alcune bolle siano esplose, alcune prima e alcune più tardi, con più facilità o con enormi difficoltà, ma sono evaporate. È stato toccante assistere a quello spettacolo e, nel frattempo, pensare che anche la prigioniera prima o poi sarebbe stata libera. (C.B.)
Crediti
Dickinson’s Walk
di Cuocolo/Bosetti – IRAA Theater
regia Renato Cuocolo
con Roberta Bosetti
produzione Cuocolo/Bosetti IRAA Theatre, Teatro Dioniso
Variations
scritto, diretto ed interpretato da Remo Di Filippo e Rhoda Lopez costruzione Marionette Remo Di Filippo disegno dei costumi Martina Di Paolo sartoria Carla Cinciripini musiche di Dardust, Marco Primavera, The Album Leaf, Wintergatan canto dal vivo Rhoda Lopez
Hänsel e Gretel
da un’idea di Michele Losi e Sebastiano Sicurezza
regia Michele Losi
drammaturgia Sofia Bolognini e Sebastiano Sicurezza
con (in alternanza) barbara Mattavelli, Benedetta Brambilla, Giulietta De Bernardi, Liliana Benini, Sebastiano Sicurezza, Stefano Pirovano
suoni Luca Maria Baldini e Diego Dioguardi
supervisione alle azioni e scene Anna Fascendini
costumi Stefania Coretti
produzione Campsirago Residenza
Teatri mobili
Compagnia Girovago e Rondella e Compagnia Dromosofista
Girovago e Rondella cominciano a fare spettacoli circa 35 anni fa in Grecia, su un teatro navigante, da allora non si sono mai fermati esibendosi in numerosi festival in 15 paesi nel mondo. Nel 2007 i figli Rugiada, Timoteo e Tommaso, insieme agli argentini Facundo e Santiago Moreno, formano la Compagnia Dromosofista. Dal 2016 viaggiano insieme per l’Europa con I Teatri Mobili.
Vivo in una bolla
di e con Paolo Piano, Danila Barone
progetto ideato e prodotto da DoascoPerformingArt – Dialoghi d’arte
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