top of page
  • Marco Gandolfi

Balanchine / Kylián / Béjart | La tradizione


Il Teatro Alla Scala dedica, sul finire della stagione 2018/2019, uno spettacolo di sintesi e confronto a tre dei più famosi coreografi del secolo scorso: Balanchine, Kylián, Béjart,- così citati nel titolo della rappresentazione - sono gli autori, rispettivamente, dei tre atti di cui lo spettacolo di compone.

È così possibile nello spazio di poco più di un'ora e mezza assistere a una sintesi e a un confronto che abbraccia la danza novecentesca nella sua transizione tra formulazioni (neo)classiche e declinazioni più libere e svincolate da paradigmi più o meno rigidamente codificati.

L'apertura della serata è dedicata al virtuosismo classico di Balanchine che, con il suo Symphony in C da Georges Bizet, realizza una esemplare coreografia, elegantissima e geometrica. La caratteristica peculiare del pezzo è la costruzione dell'assieme fatto di complessi movimenti che intersecano e distribuiscono le cellule di danzatori - suddivisi in gruppi da due, tre, quattro o più a seconda del momento - lungo una scacchiera ideale, rigorosamente costruita sul palcoscenico. La precisione e pulizia architettonica della coreografia sono immacolate: simmetrie e raggruppamenti governano costantemente la scena a livello macroscopico d'insieme, trovando uno specchio naturale nei gesti e nello stile dei singoli ballerini.

L'armonia che Balanchine ricerca è quella della forma proporzionata, algidamente definita nella precisione assoluta. Visivamente vengono alla mente certe inquadrature del Kubrick più geometrico; in un rispecchiamento ideale il balletto sembra soffrire dello stesso problema di certe pagine del cineasta: la gelida bellezza si trasforma in freddezza espressiva, qui mitigata dal lirismo di certi passaggi di Bizet.

Il corrispettivo opposto caratterizza invece il pezzo che chiude la serata. Il Bolero di Béjart è un paradigma di vitalismo e sensualità, catalizzato dall'incedere ossessivo e in crescendo della celebre musica di Ravel. Particolarmente felice è la scelta di Roberto Bolle a interpretare il protagonista che danza su una pedana circolare rialzata e perfettamente illuminata rispetto al resto della scena, dove gli altri ballerini compaiono via via durante l'esecuzione.

In questo modo Bolle si fa ammirare in quanto corpo incontenibile dalla sua perfezione per il visibilio del pubblico. La danza è quasi un accidente irrilevante rispetto all'affermazione della sua statuaria intransigente. D'altra parte lo stesso si può dire della musica del Bolero: talmente celebre e già sentita che non viene quasi più ascoltata, pena il rendersi conto della sua compulsiva ripetitività. Béjart ne estrae la traccia vitalistica condensandola in un rituale di gesti teatrali; la semplice coreografia ha il compito di modulare lo spazio per elevare la pedana centrale con la sua concentrazione di azione.

Il Petite Mort di Kylián è il centro del programma, ma anche il fulcro qualitativo attorno a cui ruota tutto il resto. Esteticamente sublime, raffinato nelle scelte coreografiche, si presenta in una forma più libera rispetto alle altre parti. Le sezioni si alternano in un fluire narrativamente senza stacchi: dopo il prologo in cui i gruppi maschili e femminili sono separati, un telo nero viene fatto correre sul palcoscenico dai ballerini per svelare una nuova aggregazione. Questa sorta di sipario orizzontale e svolazzante ritorna in seguito come unione e separazione al tempo stesso, metaforico velamento e svelamento di un significato; non manca inoltre, in questa metafora, l’ironia sottile dello scontro e unione tra i sessi.

La luce modula l'alternanza dei pas de deux e delle scene d'assieme, costruendo una proiezione rarefatta, sottilmente stregata. La meravigliosa musica di Mozart accompagna il sublime che Kylián trova ad ogni passo. Quando il gruppo femminile entra in scena con dei costumi settecenteschi stilizzati l'illusione è convincente: il nero delle loro forme nasconde in realtà una struttura rigida che si appoggia solo sul corpo delle ballerine. Quando se ne liberano con un gesto simultaneo, queste strutture percorrono il palcoscenico sulle ruote su cui poggiano, dando l'illusione di scivolare sul ghiaccio.

Metaforicamente questa liberazione dalla forma è la stessa che caratterizza il balletto di questa rappresentazione: lasciate le codificazioni classiche (Balanchine) e rielaboratele in un incessante fiorire di modalità (Kylián e Béjart), arriviamo a una modulazione artistica nuova, che non rinnega gli stilemi originari ma non se ne fa ingabbiare. Forse è questo l'autentico significato della tradizione: non lo sterile ossequio all'intangibilità dei modi ereditati, ma la loro rispettosa assimilazione verso una nuova creatività.

Elementi di pregio: l'ambizione enciclopedica di uno spettacolo che vuole riassumere un ampio spettro di variabilità coreografica.

Limiti: la giustapposizione di elementi così eterogenei può lasciare un senso di gratuità nello spettatore.

Balanchine / Kylián / Béjart

Visto al Teatro Alla Scala martedì 19 novembre 2019.

Symphony in C / Petite Mort / Boléro

Georges Bizet / Wolfgang Amadeus Mozart / Maurice Ravel

Corpo di Ballo e Orchestra del Teatro alla Scala

Direttore Felix Korobov

Symphony In C

Musica Georges Bizet

Coreografia George Balanchine

Ripresa da Patricia Neary

Costumi Karinska

Luci Andrea Giretti

Produzione Teatro alla Scala

Petite Mort

Musica Wolfgang Amadeus Mozart

Coreografia e scene Jiří Kylián

Coreografia ripresa da Shirley Esseboom

Costumi Joke Visser

Luci Jiří Kylián

Realizzazione di Joop Caboort

Supervisione alle luci e alle scene Hans Boven

Pianoforte Takahiro Yoshikawa

Produzione Teatro alla Scala

Boléro

Musica Maurice Ravel

Coreografia Maurice Béjart

Ripresa da Keisuke Nasuno

Supervisione coreografica Gil Roman

Luci originali riprese da Marco Filibeck

Étoile Roberto Bolle

Produzione Teatro alla Scala

oca, oche, critica teatrale
bottom of page