«Il reale è troppo per essere vissuto». Riascolto queste parole in una vecchia intervista rilasciata da Daria Defllorian e Antonio Tagliarini in occasione delle prime presentazioni dello spettacolo che finalmente abbiamo visto a Genova al Teatro dell'Archivolto giovedì e venerdì scorso.
Lo spettacolo si chiama Reality e lo presentavano circa 8 anni fa a Tor Vergata, una frazione di Roma. Da allora Deflorian e Tagliarini erano e sono rimasti degli outsider. I premi ricevuti da quando 10 anni fa è iniziata la loro indagine con Rewind, un omaggio a Café Muller, hanno solo permesso che i loro lavori potessero essere conosciuti da un pubblico più ampio. Ma il loro modo di fare teatro non è cambiato. Continua a ruotare intorno a un'indagine. Che sia la crisi economica presentata in Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni o la fragilità dello stare al mondo ne Il cielo non è un fondale, per loro il teatro non è mai all'inizio, come ci diranno durante i due giorni del laboratorio, ma alla fine, dopo un accadimento.
Reality nasce da un incontro con un testo di Mariusz Szczygieł pubblicato da Nottetempo in cui si raccontava di Janina Tureck, casalinga polacca che per oltre 50 anni aveva annotato in 748 quaderni tutto il quotidiano della sua vita, quanti buongiorno pronunciati, quante visite inaspettate, quanti regali ricevuti. Ma come realizzare un'idea perché esploda dopo essere stata covata? Covandola appunto, giorno dopo giorno. Annotando, osservando, come un'ossessione, come una necessità.
Mi è naturalmente molto caro questo pensiero. Non manca un quaderno nella mia borsa da anni. E non mi interessa scrivere bene o scrivere meglio. In quei quaderni, semplicemente scrivo. Elenchi, liste, pensieri, dati, fatti. Il 5 ottobre del 2014 su un bus di Genova un gruppo di persone litigava per una carrozzina che quella mamma avrebbe dovuto chiudere prima di salire. Il 10 novembre del 2017 in un bar di Milano rubavo l'inserto La Lettura perché avevo deciso che quel giorno non volevo acquistarlo. Il 15 dicembre 2015 alle 19.30 mentre io inspiravo ed espiravo durante una lezione di arti marziali, mio padre spirava.
Ed è con un quaderno alla mano che molti di noi in occasione della masterclass Sottrazioni e Addizioni tenuta da Daria e Antonio la scorsa settimana, si sono avvicinati al loro lavoro.
Non era la prima volta che entravo in quello che potrei definire ogni volta un'immersione di realtà che si raddoppia proprio perché viene ripensata e riascoltata.
C'è un metodo in questo? Come far diventare un esercizio un nuovo racconto? Con un allenamento. Allo sguardo e allo scarto. A ripensare oltre ogni retorica ciò che stiamo raccontando.
Ma è chiara una cosa: se l'improvvisazione non può essere ripetuta allora non ha valore. Allora proviamo a ripetere la piccola improvvisazione che qualcuno di noi ha appena fatto. A caldo, proviamo a ri-abitarla attraverso la restituzione di qualcosa che abbiamo appena ascoltato allenando la dimensione dell'altrove. Perché raccontare qualcosa dialoga sempre con l'altrove dentro e fuori di noi e con il qui e ora in cui le parole diventano reali. Le parole, quella dimensione cava che riempita da altri assume una nuova storia.
Io non posso non considerare che mentre racconto qualcosa parta il rumore dell'impianto del riscaldamento, che la stanza in cui sta avvenendo il laboratorio sia piena di tubi. Di quanti accadimenti banali e non memorabili è fatta l'esistenza? Quanti dettagli minimi dicono qualcosa senza davvero pronunciarlo? Ed è lì che la distanza viene azzerata. Se la mia voce e il mio corpo non sono diversi da quando entro in scena e quando ne esco, ecco che tutto è più reale, per tornare alla parola d'origine. Ma la realtà non è uno show. È uno spettacolo, come diceva mio padre quando parlava della vita.
Masterclass Sottrazioni e Addizioni, seguito venerdì 23 e sabato 24 febbraio negli spazi del Teatro dell’Archivolto.
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