top of page
  • Marta Cristofanini

Les Irréels | Animali Fantastici e Dove Trovarli


les irréels

La compagnia francese Cie/Créature, diretta da Lou Broquin, ha traslocato il suo bestiario vivente negli spazi dell'ex Chiesa di Sant'Agostino, che ne ha custodito gelosamente il segreto pulsare, il liquido, amniotico dipanarsi. L'inusuale spazio scenico della Chiesa, con le sue ampie navate echeggianti, è in affascinante contrasto con ciò che vi è racchiuso: piccole roulotte simili a carillon, a santuari del silenzio, ospitano misteriose figure antropomorfe.

Alice. Dorothy. Max, Bastian, Sarah... scegliete voi chi può rappresentarvi meglio in questa esplorazione del Fantastico, da cui difficilmente - anche e soprattutto da adulti - si finisce di essere ammaliati. Che sia Il Mago di Oz o Labyrinth, innumerevoli sono i topoi narrativi che la nostra infanzia può rivisitare quando si tratta di creature né umane né completamente estranee all'umano. Creature che, se ben costruite dall'intreccio fiabesco, racchiudono seduzione e minaccia, benevolenza e pericolo. Gli “irreali” con cui si interagisce durante l’inusuale spettacolo, nei modi e tempi desiderati, ricordano più le inquietanti, archetipiche evocazioni dei Fratelli Grimm rispetto ai troppo spesso innocui personaggi creati dalla depurata fantasia dei cartoni Disney (che comunque adoro, non fraintendetemi). L'atmosfera è autentica, i personaggi incarnano con realismo – magico - tenebrose dicotomie, straordinarie e famigliari al tempo stesso.

Visivamente: è come se le narrazioni dei Fratelli Grimm fossero state adattate scenicamente dal genio di David Lynch, con una spolverata di Terry Gilliam. Riuscite a figurarvelo?

Una placida coniglia troneggia nella stanza dei bambini, circondata da giocattoli amarcord che – nella replica compunta dei gesti del gioco – assumono un'aria sempre più sinistra; uno scimmione dall'aria perplessa e rispettosa ci chiede di scrivere su una lavagnetta il nome di un caro defunto, che lui – dopo averne cancellato il nome sotto i nostri occhi – provvederà a rievocare... e a lasciar andare. Un pescatore faccia-di-pesce attende di recuperare tra noi le speranze perdute mentre una lavandaia dalle movenze di bertuccia strofina via i dolori con leggerezza e meticolosità, facendo roteare un ombrellino e muovendosi cortese nel suo cortiletto. Lo sguattero delle passioni, con i suoi piatti invisibili, cerca di infondere coraggio (il “pesto della scoperta” ha fatto tintinnare felicemente i bicchieri di latta vuoti) mentre la guardiana dei misteri, muso d'antilope desolata, conta un mazzo di chiavi, ingabbiata in uno scrigno da cui è possibile osservarla (quasi) non visti: come si fa con tutti i misteri d'altronde, dalla Gioconda alla formula alchemica dell'oro.

L'abbraccio che mi ha avvolta nella presa del sognatore di amici immaginari, testa leonina stravolta dal dolore, è qualcosa che non posso descrivere con parole davvero fedeli. Il leone disegna i volti di chi non c'è e vorrebbe ci fosse, strappa al violino note d'abbandono e attesa, cinge qualche anima impegnata ad osservarlo. Ma non è uno zoo, non si guardano gli irreali da dietro le sbarre: il primo sentimento – autentico – di terrore che mi è preso quando con fierezza enigmatica il leone mi ha sovrastata, si è poi incanalato in un contatto visivo necessario, sostenuto con una verità talmente piena ed esatta da farmi pensare fosse lì da molto tempo, e che ci stessimo aspettando per quel minuto di silenzio stretto tra i corpi, chiuso tra le palpebre. La generosità dell'attore, in un caso come questo, incontra la genialità del travestimento.

Sarebbe stato necessario un puntiglioso lavoro da etologa per cogliere tutte le variabili di cui sicuramente si compongono a incastro questi muti monologhi. Un occhio allenato per ore avrebbe classificato, ritrovato, accomunato, campionato, comparato. No, io ho seguito gli scalpiccii della bambina a cui si regalano stupori e va bene così per questa volta, perché mi accompagna tuttora l'impressione di movimenti ancora aperti, mai interrotti, disegnati nell'aria: vivi. Come quando da bambina la tata mi metteva a letto, dopo una serata di giochi fantasiosi, e io le dicevo: dove vai? Lei rispondeva: faccio la magia, perché la mattina, al mio risveglio, non ci sarebbe stata più. Ma quel proseguire teneramente la finzione rendeva senza limiti, e senza tempo, gli incanti.

Pregi: Quel filtro prezioso di autenticità teatrale, dove la cura minuziosa della finzione (maschere, scenografia, oggetti) incontra la vocazione all'incontro, non finto, non esasperato: nudo.

Limiti: La chiesa ha sicuramente offerto un luogo atipico che ha creato un interessante contrasto, ma anche dispersione di attenzione e -ehm- calore.

Visto l'8 febbraio al Teatro della Tosse.

Les Irréels

idea e regia Lou Broquin con Antoine Bersoux, Ludovic Beyt, Odile Brisset, Emilie Broquin, Ysé Broquin, Isabelle Buttigieg, Richard Galbe-Delord, Nathalie Hauwelle, Nora Jonquet, Fanny Journaut, Julien Le Cuziat, Kaf Malère, Corinne Mariotto, Amandine Meneau, Charlotte Presseq, Claude Sanchez, Mélanie Spettel. maschere,marionette, scenografia, costumi Lou Broquin, Odile Brisset et Michel Broquin assistiti da Amandine Meneau, Emilie Broquin, Ludovic Beyt et Charlotte Presseq costruzioni e luci Guillaume Herrmann

oca, oche, critica teatrale
bottom of page