Questo articolo è stato precedentemente pubblicato sul sito della Biennale Teatro 2022.
Quattro sentinelle si incontrano sugli spalti del castello di Elsinore per il cambio della guardia. Dopo le formule di riconoscimento e i saluti iniziali, una di loro chiede: «What, has this thing appeared again tonight?». Il breve scambio di battute apre il primo atto di Amleto, dove “this thing” si riferisce al fantasma del defunto re di Danimarca, padre del protagonista, che infesta il luogo dove è stato ucciso. Lo spettro, suggerisce Shakespeare con “again”, assume un carattere ricorsivo: è qualcosa che ritorna nei vecchi spazi di vita e riemerge nelle coscienze di chi gli è sopravvissuto. Assomiglia, in questo, a un ricordo.
«Chi cavolo è adesso in cucina con me?», si chiede indispettita Daria Deflorian in Sovrimpressioni, mentre rievoca quelle sferzate di lancinante tristezza che colpiscono il suo personaggio nei momenti di quiete apparente. Il titolo fa intendere l’imperfetta sovrapposizione dei modelli messa in scena durante lo spettacolo: Deflorian e Tagliarini rimandano a Pippo Botticella e Amalia Bonetti che a loro volta, in Ginger e Fred di Fellini, imitano Fred Astaire e Ginger Rogers. In questione c’è anche il processo di rielaborazione memoriale che i due artisti affrontano parlando del proprio vissuto. «Siamo dei fantasmi che arrivano dal buio e nel buio se ne vanno», afferma Deflorian, connotando una condizione non soltanto dell’essere umano, ma propriamente dell’attore.
Fin dalle sue origini rituali, il teatro è il luogo in cui incontrare l’altrove: qualcosa magari di materialmente assente, ma infestante. È lo spazio del dialogo con i morti. Le angosce, le ferite e le crisi personali, così come le amnesie e le censure collettive si materializzano sulla scena e costringono chi le guarda a farci i conti, almeno fino al termine del buio in sala. È quello che accade ne La Reprise di Milo Rau, in cui viene rappresentata la tortura e l’uccisione di Ihsane Jarfi da parte di un gruppo di coetanei conosciuti di fronte a un locale gay di Liegi. Il regista svizzero utilizza questo avvenimento per interrogarsi sulla natura esplosiva del crimine e dell’odio che, pur accuratamente occultati, brulicano alla base del nostro mondo. Lo spettro, così, non solo ritorna, ma inestricabilmente permane. Questo aspetto si manifesta anche nella scena finale di Brief Interviews with Hideous Men di Yana Ross, con quattro anziani maldicenti che sul finale arrancano lungo il patio immacolato della villetta allestita in scena: in loro si riassume la presenza dell’orrore radicata all’interno della società statunitense.
Un’altra prerogativa del fantasma è il tormento dovuto a una questione lasciata in sospeso, in particolare connesso all’inumazione mancata. Un esempio è la storia di Polidoro raccontata nell’Eneide. Mentre strappa alcune frasche per adornare l’altare appena eretto, Enea si accorge che da esse cola del sangue e sente una voce che lo implora di fermarsi: è, appunto, Polidoro, principe troiano che, mentre portava in salvo il tesoro della sua città in fiamme, è stato ingannato, derubato e ucciso. Il suo cadavere è rimasto insepolto e la sua anima non è in grado di trovare riposo. Il desiderio di sciogliere il rapporto irrisolto con un corpo in sospeso è il vettore che anima anche Seek Bromance di Samira Elagoz. Nello spettacolo si avverte una tensione trasformativa accompagnata da un’insoddisfazione esplicita per la propria condizione: le iniezioni di testosterone che scorrono sullo schermo posto davanti alla platea sono l’invocazione a un corpo futuro, diverso sia da quello filmato che dall’artista seduto in scena. Allo stesso tempo, la concentrazione di Elagoz di fronte al piccolo laptop che trasmette il suo film fa intendere un desiderio di segno diametralmente opposto, forse connesso alla nostalgia, che impedisce l’abbandono di una scoria che sarebbe giusto, coerente o utile dimenticare.
È improbabile che il teatro abbia la capacità di rimediare ai tormenti di un individuo o di indicare a una società la strada da seguire verso le leopardiane «magnifiche sorti e progressive». Piuttosto, lo spettatore instaura con esso un dialogo eternamente inaugurato e differito, molto simile a quello in corso coi suoi spettri.
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