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Matteo Valentini

Milo Rau: riprendere il reale

Questo articolo è stato precedentemente pubblicato sul sito della Biennale Teatro 2022.


Durante i sopralluoghi in Palestina per Il Vangelo secondo Matteo (1964), Pier Paolo Pasolini fu costretto a dichiarare il fallimento dell’impresa che lo aveva condotto nei luoghi della storia evangelica: «Il mondo biblico appare, sì, ma riaffiora come un rottame». Il regista cercava – e li avrebbe trovati a Matera – volti, luoghi, edifici che non avessero conosciuto il cristianesimo e il capitalismo. Il cinema era inteso come strumento di prelievo di «brandelli di realtà», da utilizzare non ai fini dell'esattezza documentaria, ma per la restituzione di un’essenza.



Già da mezzo secolo Marcel Duchamp aveva insegnato che cosa potesse diventare un orinatoio firmato, datato e disposto su un piedistallo. Il ready-made segnò una rivoluzione: da creatore, l’artista divenne un selezionatore di oggetti, intento in un loro riposizionamento che mettesse in discussione i limiti tra realtà e arte. Il lavoro di Milo Rau, presente alla Biennale con una retrospettiva cinematografica, si fonda su questa pratica, benché il suo riferimento più prossimo sia senz’altro Pasolini. E se quest’ultimo non tollerava interferenze tra le forme del passato e i moderni elementi ambientali, il regista svizzero invece intende volutamente far risaltare le discrasie temporali che denunciano la natura finzionale dei suoi film.


The New Gospel

The New Gospel (2020) è la messa in scena di un remake del Vangelo secondo Matteo che coinvolge, in particolare, i braccianti della Felandina, ghetto vicino a Matera. Tra le riprese di alcuni momenti dell’opera pasoliniana, in cui la mimesi contrasta con la disillusione, si fanno spazio interviste a piccoli coltivatori locali, documentazioni di sfratti, approfondimenti sul caporalato e sulle pratiche di resistenza.

Benché in modi diversi, il campionamento del reale è utilizzato anche negli altri film in rassegna. The Congo Tribunal (2017) documenta il duplice processo inscenato da Rau contro le compagnie minerarie e le istituzioni governative della regione congolese del Sud Kivu, a Bukavu, e contro l’Unione Europea e la Banca Mondiale, a Berlino. L’accusa è quella di essere responsabili delle violenze decennali perpetrate in Congo. Per sostenerla, vengono chiamati a testimoniare le vittime delle ingiustizie in questione, esperti e ministri, i quali, alla fine, possono essere interrogati anche dal pubblico in sala.


The Congo Tribunal

Un altro tribunale viene istituito al termine di Orestes in Mosul: The Making of (2020), diretto da Daniel Demoustier sulla base dell'omonimo spettacolo di Rau. La narrazione eschilea è qui piegata a rappresentare le conseguenze della riconquista, da parte del governo iracheno, della città di Mosul, occupata per più di due anni dai miliziani dell’ISIS. Viene discusso il trattamento da riservare a coloro che hanno portato sofferenza e morte nella comunità. Sono intervistati i testimoni delle violenze perpetrate dallo Stato Islamico, mentre alcuni luoghi-simbolo delle efferatezze sono risignificati attraverso azioni performative (per esempio, il bacio tra due uomini in cima all’edificio da cui i miliziani scaraventavano le persone omosessuali della città).


Orestes in Mosul - Milo Rau

Infine, Familie (2020) riprende l’omonima pièce che narra l’ultima cena della famiglia Demeester, nel 2007 protagonista di un suicidio collettivo. Come negli spettacoli LaReprise – presente nella programmazione della Biennale – o FiveEasyPieces, Rau è interessato ad analizzare i grumi di violenza che si annidano sotto la superficie calma e anonima della medio-borghesia europea. Per farlo, non pratica veri e propri prelievi di elementi reali, ma invita una famiglia di attori a impersonare i Demesteer. L’esposizione del dato di realtà, in questo caso, agisce sul pubblico a livello empatico ed esistenziale, mentre nelle altre opere citate riguarda piuttosto una presa di parola politica, un atto di rappresentazione e rappresentanza. In tutti e quattro i lavori, però, l’obiettivo non è tanto restituire il reale nella sua essenza originaria, quanto scoprirlo e ridisegnarlo attraverso la finzione.


Familie - Milo Rau

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oca, oche, critica teatrale
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