In una versione cinematografica del Rigoletto del 1977 orchestrata dalla Dresden Staatskapelle e diretta dal Maestro Molinari-Pradelli, Rolando Panerai, intenso baritono tra i più grandi Rigoletto della storia, anima il sontuoso preludio verdiano con una performance espressiva assai significativa, licenza d'attore non contenuta, naturalmente, nel celebre libretto di Piave.
Un primo piano, infatti, restituisce al pubblico il volto del protagonista, circondato dall'oscurità e ambiguamente diviso tra il ghigno e il dramma, mentre un potente Do, attraversato da torbide cadenze d'inganno, spontanee allusioni alla doppiezza del mondo del Duca, si presenta come anticipazione della maledizione di Monterone, vero e proprio epicentro armonico di quel terremoto che sarà l'intera opera.
Nella restituzione cinematografica, una lacrima, improvvisamente, solca il volto di Panerai che subito si nasconde dietro un'orrenda maschera da buffone: il pianto, una delle tempeste umane più amate dalle opere verdiane, retaggio d'ogni uomo eppure negato al protagonista, è il segno represso di un'umanità nascosta, messa al bando, condannata.
Da un simbolo a un altro, da una libertà registica all'altra, quarant'anni dopo, Panerai, classe '24, autentico signore dell'Opera, è passato a dirigerlo quel capolavoro del Rigoletto, in una versione presentata già nel 2013 – sempre al Carlo Felice nella gestione di Musenich –, ma stavolta con un cast decisamente potenziato dalla presenza di un altro baritono storico e amatissimo, l'emiliano Leo Nucci. Sul connubio tra due grandi artisti si basa il peso specifico di questa versione che nella stagione 2017/2018 sta trionfalmente solcando le scene sin dal suo debutto del 6 dicembre e, presumibilmente, continuerà a mietere consensi fino all'ultima replica del 29.
L'inizio contiene un'elegante marca registica: sposando un'intima coerenza con il testo – è alla viziosità della corte che Rigoletto attribuisce il proprio essere iniquo - sono i cortigiani che vestono il protagonista del suo costume da buffone e gli mettono in testa il cappello burlesco, durante il preludio. A quel punto, pronto alla sua recita, è Rigoletto stesso che mette in azione il meccanismo della festa, i celebri quattro frivoli temi che si incastrano l'uno nell'altro, freneticamente, quasi a voler indicare la volubilità di questo luogo, la volgarità delle sue orge, la passione kitsch per il citazionismo classico.
Grazie alla coreografia ispirata di Giovanni Di Cicco e le scelte di costume di Regina Schrecker, cromaticamente semplici ma convincenti, virate sul nero e sul marrone tra i cortigiani e giustapposte al doppio colore acceso del vestito di Rigoletto – e al seducente rosso che avvolge la Maddalena nel III Atto -, lo spettatore ha l'impressione di trovarsi nel Satyricon di Petronio o in qualche degenerata corte shakespeariana, mentre reminiscenze mozartiane riempiono l'aria di piccoli tocchi leggeri e sinistri.
Da questo momento in poi, la chiave del Rigoletto di Panerai si attiene alla tradizione, termine che è sempre assai difficile da definire in ambiti verdiani, visto che a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, in assenza di SIAE, celebri – ed eccellenti – cantanti ritennero di esercitare piccole e grandi libertà sulla partitura, tra puntature e acuti non sempre fedeli all'originale, consegnando così al Novecento un'infinità di sfumature alternative di Rigoletto. Di fatto, la scelta di Panerai sembra attestarsi su una visione molto rispettosa dell'opera che Verdi ritenne a lungo il proprio capolavoro, e questo lo si evince in particolare su due piani: uno scenografico, l'altro musicale.
Per quel che riguarda il primo, la creazione scenica - curata dallo stesso regista e illuminata da Luciano Novelli - costituisce una delle note più preziose dell'allestimento: soluzioni paesaggistiche attivate da un'illuminazione suggestiva; piani verticali, soppalchi, scalinate, che restituiscono sempre il tema del doppio - il sopra e il sotto, il dentro e il fuori. Nonostante tra la capanna da far west di Sparafucile, che pure evoca anche il carattere desolato della riva "deserta" del Mincio, e lo sfarzo ostentato del palazzo del Duca si incrocino estetiche architettoniche diverse, la coerenza stilistica è data dal fatto che tutto sia effettivamente esposto alla rovina, compresa l'abitazione di Rigoletto, nascondiglio dell'anima e dei sentimenti, violato dai feroci cortigiani. Infine, non si può non registrare il vezzo di mostrare al pubblico la spettacolarità del cambio scena, nel secondo atto, a sipario aperto. Il rumore seducente della macchina scenica, le schiere di tecnici, macchinisti, poetica dichiarazione d'amore per l'artigianalità dell'Opera, presente già nell'allestimento del 2013, ripresa in identico modo in questa: la conseguenza diretta di quest'idea è che il Re B Maggiore con cui si apre la scena del duetto tra Sparafucile e Rigoletto riesce a fungere da miracoloso collante con la fine dell'atto precedente, anche dopo svariati minuti: con una semplice nota si rievocano improvvisamente tutti gli spettri della maledizione di Monterone, chiusa proprio in Re B Maggiore.
La seconda prova di fedeltà di Panerai a Verdi è costituita da un grande sforzo di equilibrio, ancora più apprezzabile vista la natura di cantante del regista, tra la conduzione di Ivan Ciampa e ciò che accade in scena. Tra le soluzioni musicali più autenticamente verdiane e più riuscite, in particolare, si segnala l'emozionante danza di violoncello, viola e contrabbasso nel già citato duetto Sparafucile-Rigoletto, un minaccioso addensarsi di nubi nel segreto della notte – danza già contenuta nel preludio, con l'anticipazione degli accordi modali della tempesta dell'ultimo atto e i trasparenti accenni a una marcia funebre a tutti gli effetti. Per il resto, l'Orchestra accoglie con onestà nella sua esecuzione l'idea centrale di costituire un elemento decisivo per ricreare il paesaggio musicale e scenico voluto da Verdi, unitamente alla ferma consapevolezza dell'autonomia delle trovate musicali peculiarissime, dalle diteggiature di Caro nome, che ricordano un Petrushka di Stravinsky ante litteram, agli echi che potrebbero quasi ricordare Chopin alla fine del primo duetto tra il Duca / Gualtiero Maldè e l'innamorata Gilda, fino alle ostiche dissonanze della tempesta finale, con l'incombente campana della mezzanotte, che riporta sempre il solito, terribile Do della maledizione.
Alle spalle del generoso e incontenibile Leo Nucci, di cui è nota la grande capacità recitativa, si muove un cast giovane eppure collaudato, a partire dall'avvenente Gilda, una giovanissima Maria Mudryak dalla superba estensione vocale e con una presenza scenica che riesce a evitare una sensazione di eccessiva fragilità del personaggio, il tenore spagnolo Antonio Gandia / Duca di Mantova, non sempre accompagnato da fortuna critica in altre occasioni, ma che in quest'Opera è parso molto ispirato, capace di conferire al suo Duca un carattere vagamente infantile e ingenuo, che lo discosta – ed è corretto rispetto a com'è stato immaginato da Verdi / Piave – da ogni tentazione dongiovannesca e diabolica; Anastasia Boldyreva / Maddalena ha colorato il suo personaggio con un carattere sanguigno e scuro che la sua voce fa ribollire tra le braccia del Duca, peculiarità ereditata probabilmente da una Carmen. Tra le curiosità, si registra che gli unici interpreti confermati nel proprio ruolo nel 2013 sono stati Anna Venturi, nei panni di Giovanna, la governante di Gilda che si lascia corrompere dalle trame del Duca seduttore, e Claudio Ottino, Marullo. Infine, va segnalata anche l'interpretazione introversa e notturna di Sparafucile ad opera di Dario Russo, molto credibile quando si relaziona con la sua lama, che affila in modo sinistro, mentre il Duca continua a volteggiare con La donna è mobile, ma anche commovente nel duetto con Rigoletto nel II Atto che si conclude con un Fa grave mai ostentato, equilibrato invece e in lieve dissolvenza sulle riflessioni del Rigoletto, riconsegnato al silenzio della notte e alle sue ossessioni.
La richiesta del bis – soddisfatta – e gli applausi scroscianti, in particolare per Leo Nucci, unitamente a un teatro pieno, anche di giovani, rendono questo Rigoletto un regalo alla città, sia su un piano artistico che produttivo, una scelta di continuità, premiata da un successo meritato.
di Giuseppe Verdi
Direttore d’Orchestra: Francesco Ivan Ciampa (6, 9, 10, 12) – Dorian Wilson (22, 23, 27, 29)
Regia e scene, Rolando Panerai
Regista assistente, Vivien Hewitt
Costumi, Regina Schrecker
Luci, Luciano Novelli
Coreografie, Giovanni Di Cicco
Nuovo allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
da un’idea di Rolando Panerai
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Franco Sebastiani
Visto il 12-12-17, con il cast:
Il Duca di Mantova, Antonio Gandía
Rigoletto, Leo Nucci
Gilda, Maria Mudryak
Sparafucile, Dario Russo
Maddalena, Anastasia Boldyreva
Giovanna, Anna VenturiIl
Conte di Monterone, Stefano Rinaldi Milani
Marullo, Claudio Ottino
Borsa, Aldo Orsolini
Il Conte di Ceprano, Giuseppe De Luca
La Contessa di Ceprano, Alla Gorobchenko
Usciere di Corte, Alessio Bianchini
Paggio della Duchessa, Annarita Cecchini
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