La storia di Salomè e della decapitazione di San Giovanni Battista è talmente integrale alla cultura occidentale da aver dato corpo a un intero filone artistico che si è preoccupato della sua rappresentazione sotto stili e forme diversissime. Non meno significative sono le implicazioni psicologiche: il testo di Oscar Wilde si concentra sulla figura di Salomè come incarnazione della lussuria seduttiva e della manipolazione, allo stesso tempo vittima e carnefice. La precisa scelta della messinscena di Luca de Fusco è quella di trasformare la straripante sensualità, contrappuntata di ironia, del testo di Wilde in un'astratta e algida geometria illuminata dalla fioca luna onnipresente nella videoproiezione di scena. Questa impostazione si manifesta anzitutto nella direzione degli attori: Gaia Aprea dà vita ad una Salomè disincarnata con una recitazione raggelata e dai movimenti lentissimi. Eros Pagni incarna un Erode accademicamente ieratico. Questa densità di fondo dell'approccio recitativo trasforma doppiamente il senso del testo di Wilde. Da una parte gli inserti ironici appaiono sminuiti e depotenziati, dall'altra la carica sessuale della protagonista viene trasformata in un riflesso, una schematizzazione cerebrale. Posto che si tratta di una scelta coerente con altri aspetti della costruzione scenica sono evidenti i prezzi che si pagano: la celeberrima danza dei sette veli perde ogni carica dionisiaca, per trasformarsi in una pantomima frettolosa in cui la stessa Salomè sembrerebbe quasi trovarsi a disagio. Il lungo dialogo della seduzione fallita di Salomè nei confronti di Iokanaan assume i contorni di un lento rosario privato di qualsiasi trasporto. L'unico momento in cui probabilmente questa scelta risulta convincente è nel prefinale, quando Salomè continua a ripetere in stato di trance la richiesta della testa del profeta ad un incredulo Erode. L'apparato scenografico usa un doppio schermo, uno sospeso alle spalle degli attori e uno sotto i loro piedi; le immagini della luna si alternano a ad apparizioni video di Giovanni Battista. L'uso della tecnologia, un tratto caratteristico dell'opera di De Fusco, si può definire riuscito, anche se parzialmente: il contenuto di alcune videoproiezioni pare infatti in linea con la scelta dei costumi che alternano vaghi richiami a una plausibilità storica (ad esempio i sacerdoti) con suggestioni art decò nella coppia reale. Salomè, anch'essa in linea con la scelta interpretativa, è un’aliena argentea. Non si può negare che lo spettacolo sia attraversato da una ambiziosa visione di fondo; già l'idea stessa di rappresentare l'atto unico di Wilde, assai poco frequentato in repertorio, ne è un’indicazione ma non sempre gli esiti corrispondono alle intenzioni: in questo caso, precisamente - e curiosamente - si pecca più per eccesso di intellettualismo che per semplificazione. Elementi di pregio: il coraggio di una rivisitazione alternativa della riscrittura wildiana del classico biblico. Limiti: l'eccesso di intellettualismo appesantisce; l'astrazione del personaggio di Salomè crea uno sbilanciamento nella messinscena. di Oscar Wilde
versione italiana Gianni Garrera
regia Luca De Fusco interpreti Eros Pagni, Gaia Aprea, Anita Bartolucci, Alessandro Balletta, Silvia Biancalana, Paolo Cresta, Gianluca Musiu, Alessandra Pacifico Griffini, Giacinto Palmarini, Carlo Sciaccaluga, Francesco Scolaro, Paolo Serra, Enzo Turrin scene e costumi Marta Crisolini Malatesta musiche Ran Bagno luci Gigi Saccomandi
produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Napoli - Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile di Verona
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