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  • Francesca Torre

Simon Boccanegra | «È nostra patria Genova»


Simon Boccanegra

Come l’opera genovese di Giuseppe Verdi racconta di un doge acclamato a furor di popolo, la sera della prima lo spettacolo diretto da Andriy Yurkevych, con la regia di Andrea De Rosa, ha raccolto unanime consenso. Un Simon Boccanegra ancor più applaudito rispetto all’esordio genovese di tre anni fa, complice forse il desiderio di riscatto di una città a cui sembra non essere rimasto molto più che la riscoperta di miti e simboli di un passato glorioso in cui rispecchiarsi. Una comunità che sulla scena ritrova se stessa, divisa in fazioni e lacerata da scontri intestini. Una città che elegge un uomo di mondo, ma che è attratta dalle sirene della chiusura e del provincialismo; mentre Simone, insieme a tutti i genovesi che hanno reso grande Genova, ancora oggi ci insegna inascoltato che l’amore per la propria terra non è in contraddizione con l’apertura nei confronti di altre culture:

«TUTTI: Guerra a Venezia!

DOGE: E con quest'urlo atroce

Fra due liti d'Italia erge Caino

La sua clava cruenta! - Adria e Liguria

Hanno patria comune.

TUTTI: È nostra patria

Genova.»

Altro motivo di richiamo per il pubblico è stato, senza dubbio, Francesco Meli nel ruolo di Gabriele Adorno. Il tenore genovese ha saputo sfoggiare una solida padronanza vocale e un fraseggio raffinato: tutte caratteristiche che lo hanno da tempo consacrato come uno dei grandi interpreti del panorama lirico internazionale. Degne di nota anche le prove di Vittoria Yeo (Amelia Grimaldi), Giorgio Giuseppini (Jacopo Fiesco) e di Leon Kim (Paolo Albiani), ma soprattutto del protagonista, Ludovic Tézier: interpretazioni che però avrebbero avuto tutto da guadagnare da uno scavo maggiore nei personaggi e nelle loro relazioni. In questo modo, per riempire i vuoti lasciati da una lettura registica superficiale, si rischia di cadere nella sterile gestualità codificata dalla tradizione scenica.

La regia di Andrea De Rosa, in questa occasione ripresa da Luca Baracchini, imprime alla macchina scenica un andamento statico, amplificato dall’impianto a scena fissa firmato dallo stesso regista: una parete scura che si staglia davanti al mare proiettato sullo sfondo. De Rosa illustra le motivazioni alla base delle sue scelte in una dichiarazione: «Sono rimasto fedele al testo, cercando di esaltare quello che secondo me può esserne considerato l’elemento chiave: il mare. Per un uomo di mare come Simone è importante avere sempre un orizzonte visibile, ma il dolore e i palazzi del potere gli precludono la vista di questo orizzonte. Al mare ho attribuito un’importanza primaria rendendolo presente, in forme sempre diverse, per tutta la durata dello spettacolo».

Eppure, nonostante le intenzioni, il rapporto fra il protagonista, che con questo orizzonte mai interagisce, e il mare, relegato alla funzione di fondale oleografico, rimane sottotraccia. Fra questi si inserisce un apparato scenografico stilizzato, che nel corso dello spettacolo assume sempre forme diverse, unico elemento deputato a delineare l’ambientazione. Tutti queste componenti, unite ai costumi storicizzanti di Alessandro Lai e alla scelta di dare un corpo alla tanto evocata Maria (Luisa Baldinetti), danno la misura di un allestimento dall’identità incerta, a metà fra astrazione, reinterpretazione e gusto descrittivo della tradizione, che non ha il coraggio di sbilanciarsi in una direzione o nell’altra.

Le luci di Pasquale Mari delineano una Genova dalle tinte oscure più di quanto sia nelle intenzioni, a causa di sbavature come la frequente mancata corrispondenza fra la direzione del taglio di luce e la posizione degli interpreti, e un debole ma percettibile riflesso delle ombre dei cantanti sulla scenografia: tutti sintomi di un trattamento luministico approssimativo. La bacchetta di Andriy Yurkevych è capace di valorizzare le pagine più significative della partitura verdiana e a conferire linearità all’esecuzione. Il coro (più simile, a giudicare dai costumi, a quello degli ebrei del Nabucco che a plebe e patrizi genovesi del ‘300) si è fatto sorprendere fuori tempo in più di un’occasione.

Nel complesso, questo Simon Boccanegra ha dimostrato di meritare gli applausi un po’ di parte di una sala che poche volte abbiamo visto così gremita.

Pregi: un cast prestigioso.

Limiti: un approccio registico non in grado di imprimere una chiara direzione interpretativa all’allestimento.

Melodramma in un prologo e tre atti di Giuseppe Verdi

Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito

Direttore d’Orchestra, Andriy Yurkevych

Regia e scene, Andrea De Rosa

regia ripresa da Luca Baracchini

Costumi, Alessandro Lai

Light e video designer, Pasquale Mari

Allestimento Teatro Mariinskij di San Pietroburgo

Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice

Maestro del Coro, Francesco Aliberti

Simon Boccanegra, Ludovic Tézier/Alberto Gazale (16/19)

Jacopo Fiesco, Giorgio Giuseppini/Roman Lyulkin (16)

Amelia Grimaldi, Vittoria Yeo/Angela Nisi (16/19)

Gabriele Adorno, Francesco Meli/Matteo Desole (16/19)

Paolo Albiani, Leon Kim

Pietro, Luciano Leoni

Un’ancella di Amelia, Simona Marcello/Alla Gorobchenko (17/19)

Fantasma di Maria, Luisa Baldinetti

oca, oche, critica teatrale
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