La sera prima della masterclass con Yendi Nammour avevo avuto l'occasione di vedere lo spettacolo Me my self and I e ne ero uscita con questo pensiero: mi piace chi sa raccontare una storia.
Alla base del lavoro erano differenti i materiali di composizione tra verità e finzione, tra autoritratto e racconto di sé, ma tutti passavano oltre che dal corpo, anche e soprattutto dalla voce.
Partendo da un'enorme pagina bianca i danzatori ci fornivano dettagli e informazioni di se stessi come individui e come collettività: qualcosa che non sapevi prima di entrare e che potevi portare con te dopo che lo spettacolo era concluso. Un'informazione appunto, una storia.
Un metodo che naturalmente tutti conosciamo, una tradizione di Tanztheather che non ci è indifferente, ma ogni volta rimango incantata quando mi scopro curiosa rispetto a qualcosa che non so.
"Ausdrücken" ad esempio. Una parola che era proprio Yendi Nammour a portare in scena, con tutto il suo suono onomatopeico (Aus Aus) , ma anche con un significato mai così appropriato, "manifestarsi", "esprimersi".
"Il danzatore - ci dirà Yendi alla fine delle tre ore di masterclass passate insieme - spesso ha ancora la tendenza a cercare la precisione, la pulizia, non fare rumore è una delle cose che ti insegnano fin da piccolo mentre danzi, ma è grazie alla voce che il ritmo del movimento riesce a chiarirsi, quindi fatevi sentire".
Ora, io non so se la mia compagna di laboratorio Valentina abbia davvero ritrovato se stessa in Israele o se Filippo mangiasse davvero la banana split a Bruxelles o se Ilenia sia partita dalla Sicilia con la certezza di essere nata coreografa per cercare una danza che non trovava nel suo paese, ma so che il semplice metodo proposto da Yendi di stare a turno in mezzo a un cerchio, con tutti gli altri a chiedere qualsiasi cosa passasse per la testa, che fosse una tabellina o una ricetta di un risotto, sempre più chiaramente dava stabilità e concretezza alla propria danza e all'improvvisazione che ne usciva.
Si appoggiavano i muscoli sull'intenzione della parola, rallentavano le gambe come una sospensione quando la domanda era intima, volteggiavano le braccia quando il ricordo era allegro.
Ed è una di quelle rare esperienze in cui danzare insieme e condividere i propri giochi permette di essere tre ore dopo, il tempo di una lezione, molto più uniti.
Sapersi divertire, nel suo significato etimologico, divertere, cambiare direzione: eravamo lì a giocare e a farlo seriamente.
Non importava da dove arrivassimo. Improvvisamente ci conoscevamo, sapevamo da un dettaglio moltissimo di noi e facevamo nostro uno dei pensieri della coreografa pioniera Anna Halprin:
“Every experience I’ve had in my life is a resource in my body”.
*ideazione e coreografia Christine Fricker interpreti Aude Cartoux, Yendi Nammour, Yoann Boyer Compagnia Itinèrrances con il contributo della Régie Culturelle Régionale Provence -Alpes - Côte d’Azur, supportato da la Gare Franche - l’officina nell’ambito del Festival Dansem 2016 - Klap, maison pour la danse - Pôle 164
- La masterclass di Yendi Nammour è stata curata da Arbalete Associazione Culturale
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