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Marco Gandolfi

Woolf Works | Una stanza tutta per Virginia


"Quello che voglio fare ora è saturare ogni atomo. Intendo eliminare tutto ciò che è sterile, inerte, superfluo: rendere il momento nella sua interezza, qualunque cosa esso includa." (Virginia Woolf). Il balletto Woolf Works di Wayne McGregor, alla sua prima rappresentazione italiana alla Scala, è animato da questa implacabile devozione alla totalità. La frase della Woolf è citata dalla drammaturga Uzma Hameed per trasmettere la sensazione di sgomento di fronte all'impresa di adattare per la danza ben tre romanzi della scrittrice e relazionarli anche con la sua vicenda biografica. Ma la difficoltà della traduzione tra codici artistici è solo uno dei gradi di sfida, a livello superiore c'è il problema di armonizzare in un'unica opera l'eterogeneità delle tre opere, Mrs Dalloway, Orlando e The Waves, che sono la fonte d'ispirazione per le tre parti di una messinscena camaleontica in toni, registri e stili. Che la bussola non sia stata persa è forse il complimento più grande che si possa fare a uno spettacolo che, potendo facilmente cadere nel cacofonico, evita il pericolo dosando a briglia stretta gli spazi e i temperamenti dei diversi contributi di talento che fanno parte del team creativo. È un luogo comune che un dream team non sia sempre sinonimo di successo, spesso cade per il contrasto delle personalità che tendono più a evidenziare se stesse che il risultato finale. Qui magicamente pare all'opera un prodigioso desiderio comune - apparentemente spontaneo, ma probabilmente costruito pazientemente da McGregor - per tenere tutto unito in unico nome: quello di Virginia. La danza si presta non troppo sorprendentemente a evocare una scrittura fatta di ritmi e tonalità materiche: i molteplici flussi di coscienza di The Waves sono tradotti nei filamentosi movimenti d'assieme, che sorgono e spumeggiano come onde in un raffinato confronto con la grande videoproiezione marina che giganteggia a fondo palco. La barocca esplosione delle identità di Orlando infonde vita a un esuberante e lugubre balletto sulle variazioni del tema della Follia. Max Richter dà libero sfogo al suo sperimentalismo elettronico e il teatro si trasforma quasi interamente in un palcoscenico per i Daft Punk con le proiezioni luminose al laser che fendono la nebbia artificiale e disegnano arcobaleni sui palchi della Scala. Ma è nella prima parte, dedicata a Mrs Dalloway, che la coincidenza di qualità espressive tra danza, drammaturgia, musica e luci raggiunge il suo risultato più pieno e convincente. Tre grandi cornici che ruotano su se stesse formano strutture continuamente nuove, che velano e raccontano via via un pezzo diverso di storia, in un tempo non lineare, dove in scena contemporaneamente troviamo la scrittrice e la sua proiezione Dalloway, nella caleidoscopica esplosione della cronologia biografica.

Il dispositivo sovversivo della routine della scrittura naturalista, che tanto mal sopportava Woolf, viene brillantemente citato nell'unione spiazzante tra dato biografico e realtà narrativa. Questa idea drammaturgica garantisce al balletto di volare oltre le costrizioni di piombo della logica narrativa. Così come Richter nelle semplici melodie sognanti che sottolineano le rivoluzioni cronologiche della prima parte, introduce scarti di dissonanza e reperti di rumori urbani, allo stesso modo il suicidio della Woolf è evocato dalle acque di The Waves, rimandando all'altro suicidio in coda a Mrs Dalloway, chiudendo un cerchio di rimandi tra letteratura e biografia, necessariamente ineludibili e inestricabili. Una menzione particolare va all'eccellente lavoro luministico di Lucy Carter. Quando durante il primo quadro, mentre le cornici ruotano lentamente per svelarci un nuovo capitolo dell'incedere del tempo, le melodie di Richter si semplificano in un dolce cullarsi sopito, la luce aumenta di intensità, proiettando un'ombra netta e precisa sul palcoscenico. Il tempo si ferma ad una sostanza e un grado di nero che rende la saturazione a cui la Woolf ha sempre ambito: una caccia senza sosta, un'evocazione implacabile della terrificante felicità e della sontuosa sofferenza di una vita e di un'opera che hanno cercato di afferrare l'inafferrabile. Elementi di pregio: equilibrato e bilanciato adattamento con una compatta visione di fondo. Musica e luci eccellenti. Limiti: Ermetico e di complessa decodifica senza il programma di sala. Si sarebbe potuto rendere più compatto tagliando alcune variazioni da Orlando. Visto mercoledì 10 aprile al Teatro Alla Scala di Milano.

Corpo di Ballo e Orchestra del Teatro alla Scala Produzione Royal Ballet, Covent Garden, Londra, 2015 Prima rappresentazione italiana Regia e coreografia Wayne McGregor Musica Max Richter Direttore Koen Kessels Scene Ciguë, We Not I, Wayne McGregor Costumi Moritz Junge Luci Lucy Carter Film design Ravi Deepres Sound design Chris Ekers Make-up design Kabuki Drammaturga Uzma Hameed Artisti Ospiti Alessandra Ferri, Federico Bonelli Soprano Enkeleda Kamani

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oca, oche, critica teatrale
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