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  • Marco Gandolfi

Il Cerchio Rosso | I conti tornano sempre


«Buddha prese un pezzo di gesso rosso, tracciò un cerchio e disse: Se è scritto che due uomini, anche se non si conoscono, debbano un giorno incontrarsi, può accadere loro qualsiasi cosa e possono seguire strade diverse, ma al giorno stabilito, ineluttabilmente, essi si ritroveranno in questo cerchio rosso.» Questa citazione spuria del Buddha, inventata da Jean-Pierre Melville per il suo film Le Cercle Rouge, è il commento ripetuto in scena che dovrebbe interpretare le strade percorse dai personaggi di questa dura e asciutta messinscena del testo di Vitaliano Trevisan.

Un microcosmo di disperati, tossicodipendenti succubi del proprio vizio, anima una scena rarefatta, quasi assente. Recitato in un aspro dialetto veneto, punteggiato di bestemmie e oscenità, Il Cerchio Rosso intreccia brevi sequenze temporalmente sconnesse per raccontarne le peripezie, in bilico costantemente tra il tragico e il comico. Questo equilibrio instabile viene rotto sorprendentemente proprio dalla citazione di Melville: l'autoindulgente ripiegamento dei tossicomani sul proprio destino di relitti alla deriva è interrogato in un barlume di lucidità. È davvero questo un destino, oppure un caso; qual è il posto per la responsabilità individuale? La scelta di utilizzare una citazione falsa del Buddha sull'ineluttabilità del destino fornisce già di per sé qualche indizio: anzitutto perché inventata, ma soprattutto perché attribuita a un pensatore così attento all'importanza della responsabilità individuale. Ma la risposta migliore viene data dalla messinscena e dal testo: l'unico riferimento a un contesto - sia sociale o familiare - è di segno esattamente opposto all'assoluzione. La stessa scena, ambientata in un parco, che fa da sfondo alla citazione, si chiude con un'agghiacciante riflessione su quanto sia costata negli anni la dipendenza a un personaggio: un appartamento, anzi l'appartamento che i genitori avevano sempre sognato di comprare. La mancata contestualizzazione rende il peso della responsabilità ancor più insopportabile, ed è resa alla perfezione da una regia scabra, una scenografia annullata a parte alcuni elementi funzionali, e un uso discreto delle luci - come a dire che in scena restano solo i personaggi, le loro scelte, più o meno obbligate, e le loro responsabilità, più o meno pesanti. Punto di forza della rappresentazione è l'ottima recitazione: la capacità di rendere in modo credibile il caotico sprofondare di queste vite alla deriva senza cedere a facili riproposizioni di modelli usurati è probabilmente il fattore decisivo nella riuscita dello spettacolo. Così come la sapiente gestione dell'alternanza delle scene in un elusivo ordine cronologico, in modo composito e per giustapposizione, riesce a costruire un arco narrativo che - pur mancando della completezza di una narrazione tradizionale - ha una coerenza pari a quella dei personaggi che lo popolano. Elementi di pregio: pregevole costruzione drammatica e coerenza tra tempi scenici e narrativi. Limiti: l'eccesso di concisione lascia la sensazione di assistere all'abbozzo di un futuro riuscito spettacolo. Visto al Teatro dell'Archivolto Genova giovedì 21 giugno 2018. Di Vitaliano Trevisan Produzione Teatro Stabile di Genova Regia Massimo Mesciulam Interpreti Andreapietro Anselmi Simone Cammarata Matteo Cremon Denis Fasolo Pierluigi Pasino Roberto Alinghieri Roberto Serpi

oca, oche, critica teatrale
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