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  • Massimo Milella

Pragma | Akropolis alla ricerca dell’origine di tutto


La seconda serata di Testimonianze Ricerca Azioni porta in scena la nuova creazione di Akropolis, “Pragma - studio sul mito di Demetra”. Lo spettacolo-studio è una titanica sfida all’occhio e all’orecchio dello spettatore. E per questo suo coraggio onesto, l’O.C.A. non vuole perdersi la possibilità di recensirlo, ovvero continuare laddove si è concluso, per portare qualche altra riflessione.

Pragma

Una fila obliqua di fari descrive con un blu gelido lo spazio scenico, volutamente angusto, in cui David Beronio e Clemente Tafuri hanno voluto ripercorrere il longevo mito di Demetra. Nessuna voce, dall'inizio alla fine, se non l'ansimare frenetico e terrorizzato di Core/Aurora Persico, ferita al piede da Ade/Luca Donatiello e condannata a condividere l'orrenda oscurità degli Inferi con lui. Il resto dello spettacolo è un lento e vigoroso rituale del corpo che contiene tutto: la memoria collettiva di una meravigliosa favola antica, l'esplorazione intellettuale e appassionata dei suoi riverberi filosofici, storici, antropologici, specchiati nella devozione di chi, a partire dall'inno omerico a Demetra, ha voluto, in secoli di studi, leggervi la nascita di ogni cosa, dalla fecondità al piacere al teatro stesso, in un sincretismo che ha raccolto Oriente e Occidente, dal Giappone, all'Egitto, alla Grecia Antica, in un unico svelamento.

Demetra/Alessandro Romi, la più ambiziosa incarnazione scenica voluta da Beronio e Tafuri, è una creatura mostruosa, figlia di Titani del resto, divinità delle messi e della fecondità, uomo e donna insieme, crudelmente offesa da suo fratello Ade che le rapisce l'amata figlia. Giovane nella sua ostentazione fisica e contemporaneamente anziana, derelitta, nella contorsione del corpo disperato. Fertile e sterile, in una partitura unica, decisamente riuscita.

La qualità di tenacia e resistenza dell'attore in scena gli ha inoltre permesso di affrontare in modo convincente sia il peso di una lunga scena solitaria in cui il pubblico ha subito, nella mancanza di parole, nel blu straniante, l'evoluzione fisica del suo dolore, sia quello di una figura più complessa, a tratti respingente, nella quale tenta di intossicare con il suo latte velenoso l'insidioso fratello Ade che vuole deriderla, fingendosi sua figlia e accostando la bocca al suo seno. I due lottano in scena, solo l'intervento di una satiresca, ineffabile Baubò riesce a calmare la rabbia di Demetra.

L'incontro con Domenico Carnovale/Baubò è senz'altro il momento teatrale più alto di Pragma, capace di evocare lo spirito più profondo dell'origine del teatro.

Nei miti antichi, Baubò, senza alcun concetto di pudore e senza alcun fine se non quello di suscitare ilarità, si alza la veste e mostra il suo sesso. La danza della vulva, la sua innocente oscenità, la sua semplicità insomma, riescono a suscitare nella divinità ferita e tragica un sorriso: è la nascita della commedia davanti alla quale la tragedia trova un sollievo momentaneo, è l'allusione al sesso non necessariamente legato alla procreazione, il non-senso che si specchia nel senso, è il dionisiaco.

E anche nell’incarnazione di questa scena è la qualità fisica di Domenico Carnovale a rendere credibile la coraggiosa scelta di rappresentare un sincretismo misterico che attinge alle danze-preghiera dei dervisci, alle danze pagane del Sud del mondo, la tarantola per esempio, per raccontare l'estasi in cui conduce la povera Demetra.

Si ha la sensazione di essere spettatori di un frammento prezioso, abbozzato. Qui, in questa allusività, si ritrova la sintesi di Pragma: "fatto", "pratica", ma nel contempo operazione intellettuale per antonomasia. Non è uno spettacolo pensato per suscitare commozione, ma per lasciare un patrimonio di curiosità, di domande a cui dare una risposta. Ed ecco che il giorno dopo qualcuno avrà sicuramente letto, scavato, aggiunto dati alle inevitabili lacune della visione, avrà provato a ricercare nella folta letteratura filosofica e antropologica i sensi di una danza algida e misteriosa. Così si dà valore a Pragma, alla ricerca drammaturgica che c'è dentro, al senso stesso di un teatro, l'Akropolis, che oggi più che mai sta raccogliendo i frutti di un tenace movimento di rivendicazione colta di un genere popolare con la finalità, questa sì molto commovente, di ridare vita scenica al rito teatrale originario.

Il pubblico alla fine è stordito dalla luce sinistra, dai suoni, dal silenzio, ma applaude, indotto a farlo dalle forme di cui è complice, non più orgiastico e misterico, certo, ma fiducioso, in fondo, che nelle dinamiche vitali del mito di Demetra ci fosse molto di più di quanto sembrasse. E applaude, quindi, non più lo spettacolo, ma le creature e le trasformazioni del teatro, quelle che ci servono per scoprire com'è nato e perché ci piace ancora e non ci piace più.

In Pragma si intravede tutto il percorso estetico instancabile - e insostituibile in una città come Genova che ne ha un gran bisogno - di Beronio e Tafuri. Rischiando di non piacere, di farsi attaccare etichette scomode, di finire fuori dal tempo e dalle sue mode e regole.

Fino al punto di abbracciare con sicurezza anche il più drammatico dei rischi di un teatro: quello di non emozionare.

Pragma

Studio sul mito di Demetra

regia Clemente Tafuri, David Beronio

con Domenico Carnovale, Luca Donatiello, Aurora Perisco, Alessandro Romi

produzione Teatro Akropolis

visto il 9 novembre

oca, oche, critica teatrale
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